Davar Acher – Per l’anno nuovo auguri non formali

Il caso vuole che questa mia rubrica appaia proprio la vigilia di Rosh haShanah e dunque ne approfitto per fare anch’io i miei auguri ai lettori, come i presidenti della Comunità territoriali.
Vorrei però accogliere il giusto invito di Riccardo Pacifici a non essere cerimoniali o generici o formali in questi auguri. Abbiamo di fronte un anno molto preoccupante. Siamo in un momento particolarmente delicato, un momento di crisi storica, e il mio primo augurio è che possiamo tutti prenderne coscienza. Lo stato di Israele, circondato da nemici, aggredito dal terrorismo, oggetto di una campagna internazionale di delegittimazione e di odio, si trova oggi di fronte al durissimo compito di difendersi dalla più radicale possibilità di aggressione da quarant’anni in qua, un pericolo che mette in questione la sua stessa esistenza fisica: l’armamento atomico di un regime ferocemente antisemita e antisionista come l’Iran.
Decisioni difficilissime sono davanti ai governanti di Israele: se attendere che l’Occidente e l’America si decidano ad affrontare per davvero la sfida degli ayatollah e degli islamisti in genere o se tentare da soli un’autodifesa preventiva certamente assai complessa e rischiosa, come farlo e come affrontare le turbolenze certamente molto gravi che ne seguirebbero. Al governo di Israele auguro di saper decidere con lucidità e preveggenza; a Tsahal la forza di vincere ancora una volta contro tutti gli ostacoli; a tutti noi di saper difendere noi stessi e Israele, quando ce ne sarà bisogno.
In secondo luogo in Europa e nel mondo monta un antisemitismo complesso, in parte giuridicamente umanitario (i problemi per la circoncisione e la fornitura della carne kasher); in parte propagandistico (i numerosi siti internet antisraeliani/antisemiti, le bufale come la menzogna che fosse israeliano il regista del film che sta infiammando il mondo islamico, la propaganda antisionista interrotta degli ideologici terzomondisti fra cui alcuni di origini ebraiche, che ha conquistato i media, le forze politiche e le università di mezzo mondo); in parte semplicemente omicida (i casi di Tolosa, di Burgas in Bulgaria, i numerosi attacchi verbali e fisici a persone individuate come ebrei, in Austria, Svezia, Olanda ecc.). Auguro a noi stessi di saperci difendere con tutti i mezzi legali da queste aggressioni; ma auguro soprattutto alle democrazie di cui siamo cittadini – in primo luogo quella italiana, naturalmente – di saper prendere la responsabilità della popolazione ebraica non solo dalla violenza fisica, ma anche dai tentativi di isolamento politico e giuridico: la storia mostra che la condizione ebraica non è mai isolata, ma costituisce un termometro sensibile della condizione democratica.
Vi è poi il pericolo sempre più grave che deriva dall’integralismo islamico e dal consenso o della tolleranza che riceve per diverse ragioni da posizioni apparentemente antitetiche come neonazisti, neocomunisti e populisti di sinistra fin ben dentro partiti e sindacati storici, settori importanti della Chiesa. Auguro all’ebraismo, ma anche all’Europa tutta che questo asse non si saldi, perché metterebbe in pericolo non solo la nostra sopravvivenza collettiva, ma anche l’anima democratica e liberale dell’Europa. Auguriamoci anche che l’America sappia ritrovare presto il suo ruolo guida dell’Occidente e la sua alleanza con Israele che si sono entrambe così gravemente deteriorate a causa dell’amministrazione Obama.
Infine una speranza personale che però riguarda l’ebraismo italiano: sia nella mia posizione di opinionista, sia in quella di organizzatore comunitario, mi sono spesso trovato di fronte a rifiuti ideologici, incapacità o mancanza di volontà di riconoscere le posizioni altrui, intimazioni di aderire all’unanimità precostituita dei benpensanti. Auguro all’ebraismo italiano e in particolare alla sua élite intellettuale di diventare realmente e non solo verbalmente più pluralista, di provare ad ascoltare gli argomenti altrui senza respingerli a priori dietro a etichette, sdegni e pregiudizi del tempo che fu, di discutere le idee senza applicare agli interlocutori o addirittura alle loro famiglie, come ha provato a fare un collaboratore di questa pagine, etichette insensate e false o stereotipi inconsistenti.
I miei maestri mi hanno insegnato che non è lecito chiedere ad Hashem ciò che si dovrebbe ottenere normalmente con l’impegno e col lavoro; in fondo gli auguri sono una preghiera per l’altro o per un noi, l’altro che ci contiene. Gli auguri che ho espresso riguardano in genere situazioni miste, in cui cioè molto dipende dal nostro comune lavoro, ma molto anche da sviluppi fuori dal nostro controllo. I miei auguri vanno intesi allora soprattutto come speranze e proposte per la nostra teshuvah: sforziamoci tutti di riuscire ad essere all’altezza della situazione molto difficile in cui ci troviamo, uniamoci per fronteggiarla e sia volontà di Hashem che in questa maniera possiamo noi stessi contribuire a realizzare quell’anno dolce e buono che non ci stanchiamo di augurarci a vicenda e che io auspico personalmente per tutti i lettori e per tutto il popolo di Israele.

Ugo Volli – twitter @UgoVolli