Milano – Scuola ebraica o scuola per ebrei?

Le giornate comprese fra Rosh haShana e Yom Kippur sono dedicate alla riflessione sui nostri destini, sul nostro futuro, sui nostri figli. In quest’ottica nell’aula magna della scuola ebraica della comunità di Milano ieri si è svolta una serata dal titolo Scuola ebraica o scuola per ebrei, organizzata grazie a una collaborazione fra l’UCEI, il Dipartimento Educazione e Cultura e la Comunità ebraica di Milano.
Il direttore del Dec UCEI rav Roberto della Rocca ha introdotto e moderato gli interventi, chiarendo subito che l’intento non era di concentrarsi su obiettivi e politiche scolastiche bensì ragionare insieme su qual è la visione ebraica, o più precisamente su Quale vision e quale mission per una Scuola Ebraica oggi?, sottotitolo dell’incontro.
Le realtà educative ebraiche italiane sono molto diversificate: si va dalle scuole aperte di Trieste e Torino alle situazioni molto diverse di Roma e Milano dove convivono tre istituti, come sottolineato dall’assessore alla scuole della Comunità di Milano Daniele Schwarz, che ha rivendicato orgogliosamente come la specificità ebraica e l’importanza data all’educazione abbia sempre portato a risultati eccellenti. Rav Alfonso Arbib, che oltre ad essere rabbino capo è responsabile delle scuole per l’ebraismo ha centrato il suo intervento sull’ipotesi che una scuola ebraica debba essere anche un rifugio. Rifugio prima dalle leggi razziste e poi da ignoranza, violenza, droga e anche, innegabilmente, dai matrimoni misti. Il rav ha però poi chiuso il suo intervento negando con forza che la scelta di definire le scuole un rifugio possa essere una scelta giusta: “Per alcune famiglie la scuola ha tutta la responsabilità dell’educazione ebraica, quasi come se si trattasse di una delega totale. Ma ciò è sbagliato, il ruolo delle famiglie è insostituibile e non può essere occupato dalla scuola. A seguire rav Igal Hazan, direttore delle scuole Merkos Leyniane Chinuch di Milano secondo cui una scuola ebraica deve essere vista come un tutt’uno, non può essere divisa in compartimenti con l’educazione ebraica vista come se fosse una specializzazione. L’ebraismo deve permeare la quotidianità e, ha ribadito più volte, l’attenzione deve essere data alle famiglie, non solo ai singoli studenti. Che devono essere rispettate, aiutate e supportate nel loro percorso. Più teso e molto duro è stato l’intervento di rav Roberto Colombo, che prima di essere direttore delle scuole di Roma è stato rabbino capo a Torino e preside delle scuole della comunità a Milano, che ha dato una risposta drastica alla domanda iniziale: “La scuola ebraica è una scuola per ebrei che vivono una vita ebraica”. Ha continuato attaccando senza mezzi termini le istituzioni criticando chi a parole difende le scuole ma poi non vi manda i figli o chi è disponibile ad accettare qualsiasi compromesso, sostenendo poi che chi si occupa di educazione ebraica deve essere ebreo e non solo, ma poter essere un esempio e quindi vivere una vita completamente ebraica. Ha preso poi la parola David Cohenca, direttore della scuola Yoseph Tehillot di Milano che ha ricordato come nelle prime scuole ebraiche, nel 64 E.V., la prima caratteristica richiesta agli educatori fosse di essere affabili. Il ruolo principale della scuola deve essere di mettere i ragazzi in grado di fare scelte consapevoli, ma per farlo bisogna essere preparati, avere gli strumenti necessari. La missione della scuola è anche di trovare un punto di equilibrio tra i diversi messaggi che ricevono i ragazzi, a scuola, a casa, dal mondo circostante. Come altri prima di lui ha poi ribadito che le scuole milanesi non solo non sono in conflitto né in competizione ma devono collaborare e, riprendendo Hazan, ha ricordato come il fatto che un ragazzo si iscriva a una qualsiasi delle scuole ebraiche sia una vittoria per tutte e tre le scuole. Rav Benedetto Carucci, prima direttore di ebraismo, ora preside della Scuola della Comunità di Roma è una figura che unisce in sé tutte le caratteristiche descritte da chi ha parlato prima di lui, è un rav-professore, coniuga una profonda preparazione ebraica e una altrettanto profonda preparazione secolare. A suo dire bisogna ricordare che il livello di ebraismo delle scuole ebraiche è mutevole, e l’asticella in realtà si è notevolmente alzata negli anni, aggiungendo livelli prima impensabili. Lo stesso concetto di scuola ebraica non è fisso ma cambia nel tempo, e deve comunque contenere le diverse visioni dell’ebraismo, in un difficilissimo lavoro costante di comprensione e di mediazione, di valutazione delle diverse istanze. Per rav Carucci manca un lavoro consapevole di costruzione di un curriculum, manca l’idea stessa di dare un orientamento che possa permeare tutta la scuola, tutte le materie, tutti gli argomenti. Bisogna trovare una specificità ebraica che possa essere il cardine intorno a cui far girare tutta la scuola, e questo ruolo può essere ricoperto solo da un metodo di studio, un metodo che sia profondamente ebraico. Spesso le culture non sono date dai contenuti ma dalle forme, dai modi, ed è qui che sarebbe potrebbe trovare la risposta alle domande della serata, usando la chavruta, lo studiare insieme, che è poi la vera peculiarità metodologica ebraica. Per il rav non basta dunque sapere, non basta essere, bisogna anche avere un metodo.
A conclusione della serata gli interventi del presidente della comunità di Milano Walker Meghnagi e del rav Della Rocca che hanno ben espresso la sensazione condivisa da tutto il pubblico: si è trattato di una serata di grande interesse da cui sono usciti numerosi spunti che non possono essere lasciati cadere nel nulla, ed è nato così l’impegno ad organizzare un altro appuntamento, per proseguire il discorso.

Ada Treves twitter@atrevesmoked.it