L’inizio di una fase in cui ci siamo ritrovati

Il numero di ottobre di Pagine Ebraiche in distribuzione contiene molti servizi legati al trentesimo anniversario dell’attentato alla sinagoga di Roma. Dopo lariflessione del professor Ugo Volli, pubblichiamo oggi il pensiero della storica Anna Foa.

Parlare da storica e non da testimone di un evento a cui si è assistito da vicino è difficile. I sapori e le emozioni si mescolano alla riflessione e la disturbano. È quello che mi succede se penso all’attentato alla sinagoga del 9 ottobre 1982 e se mi pongo delle domande sul suo significato utilizzando non i ricordi ancora brucianti di quel giorno ma gli strumenti del mio mestiere di storica. Cosa è cambiato con quell’attentato, ed è veramente cambiato qualcosa, e in che misura, nei rapporti tra gli ebrei italiani e la società italiana? La questione richiederebbe un’analisi approfondita, mi limito qui ad alcuni spunti di riflessione.
È stato detto che l’attentato ha rappresentato il momento della rottura fra la sinistra italiana e il mondo ebraico. Ma questa rottura era ben precedente, risale alla guerra dei Sei Giorni, e si consolida ben prima del 1982 nelle posizioni fortemente filopalestinesi che prevalgono nella sinistra extraparlamentare negli anni Settanta. Si, è vero, nel giugno 1982 c’era stato l’orribile episodio della bara lasciata da un corteo sindacale davanti alla sinagoga, e il clima filopalestinese, e non solo nei movimenti dell’ultrasinistra, era divenuto incandescente dopo il massacro di Sabra e Chatila, avvenuto solo tre settimane prima, il 15 settembre. L’opinione pubblica e i media erano concordemente antiisraeliani. Si può forse ritenere che in generale il 1982, con la guerra del Libano, abbia rappresentato il momento di massima rottura fra la sinistra e il mondo ebraico italiano, un mondo ebraico comunque non omogeneo e agitato da molte critiche alla politica di Israele e da molte tensioni interne. Ma il momento dell’attentato ha semmai rappresentato da una parte il momento in cui il mondo ebraico si è ricompattato nella tragedia e dall’altra quello in cui l’opinione pubblica, di fronte ad un attentato terroristico di quella natura, ha cominciato, sia pur faticosamente e con molte incertezze, a prendere le distanze dal terrorismo palestinese e dai suoi strumenti. Perché a molti è diventato allora chiaro che sostenere le ragioni dei palestinesi, questione su cui si poteva discutere ed essere o meno d’accordo, non aveva come sbocco necessario l’attentato e il massacro. Che un attentato terroristico non poteva non essere condannato senza se e senza ma. Il 1982 ha segnato così l’inizio di una fase nuova, in cui gli ebrei e i non ebrei hanno ricominciato, forse, a parlarsi e a vedersi. Cosa che non facevano da molto tempo, che non avevano ricominciato davvero a fare nel dopoguerra. Il processo è certamente stato lungo e faticoso, non privo di ulteriori drammatiche rotture, di sospetti e diffidenze da parte ebraica, di propaganda e di luoghi comuni da parte della sinistra. Ci sono voluti quasi altri dieci anni prima che il mutamento toccasse, nel periodo della prima guerra del Golfo, la sinistra ufficiale, e anche allora solo in parte. Che tutto questo sia cominciato con il sangue di un bambino, è un’altra terribile beffa della storia.

Anna Foa, storica