L’immagine dell’insegnante

Si è appena concluso il mese di Tishrì con le sue feste e mi ritrovo a domandarmi con un po’ di preoccupazione e un po’ di malinconia come avrò la possibilità di festeggiare l’anno prossimo. La proposta governativa di una cattedra settimanale di 24 ore anziché di 18, infatti, spazzerebbe via tutti i delicati meccanismi che gli insegnanti ebrei nelle scuole pubbliche negoziano di anno in anno, scuola per scuola, a seconda di come ciascun preside interpreta la legge: scambi di ore con colleghi, giornate di assenza recuperate a pezzi, corse dal bet ha-keneset a far lezione un paio d’ore cercando sistemi per non scrivere, ecc. Dall’anno prossimo forse dovremo ripensare tutto da capo, con il rischio di trovarci a scegliere tra rinunciare a quasi tutte le feste o prenderci un numero esagerato di giorni di vacanza danneggiando gli allievi e facendoci detestare (non a torto) dai colleghi, che già ci invidiano il sabato libero.
Naturalmente si tratta di un problema del tutto secondario di fronte alla perdita di migliaia di posti di lavoro, o al paradosso di un orario aumentato del 30% a parità di stipendio, ma non è questa la sede adatta per discutere di questi argomenti, e tra l’altro si dovrà vedere se e come la proposta sarà poi attuata. Mi pare invece che valga la pena riflettere sul fatto che la proposta implica un ripensamento (o forse ne prende atto) sull’idea stessa di cosa sia un insegnante e quali siano i suoi compiti. L’immagine tradizionale presupponeva una persona erudita, estremamente competente, che prepara ogni lezione come se fosse una conferenza, magari documentandosi per ore, organizzando il proprio tempo in modo autonomo; una persona investita di una responsabilità notevole, che può influenzare in modo significativo la vita dei suoi allievi. Oggi sembra prendere piede l’idea un impiegato che timbra il cartellino, sale in classe e per le sue cinque ore quotidiane guida o sorveglia gli allievi mentre svolgono attività con l’ausilio di materiale già pronto, predisposto da esperti esterni. La prima immagine era già in crisi da tempo, e presupponeva un senso di responsabilità individuale che forse non è di tutti. Al di là di come andrà a finire la questione specifica, temo che la seconda immagine sia comunque destinata a imporsi. E nel mondo ebraico? Mi pare che l’idea ebraica di insegnante somigli più al primo che al secondo modello, ma le scuole ebraiche italiane non potranno fare a meno di adeguarsi alle regole comuni. Forse una riflessione sul modello di insegnante che vogliamo potrebbe essere opportuna anche all’interno delle nostre Comunità. E, già che ci siamo, un pensierino sul problema – pur marginale – delle feste ebraiche per gli insegnanti ebrei nelle scuole pubbliche non sarebbe fuori luogo.

Anna Segre, insegnante