Lekh lekhà…
Questa è la prima Parashà in cui ci viene presentato come protagonista Avrahàm. La presentazione comincia con un imperativo d’azione: “Lekh lekhà”, “va’ per te”, vai, agisci. Esaminando gli eventi raccontati dalla Torà ed i personaggi che ne scaturiscono, i Maestri del Talmùd ci forniscono un’informazione alquanto di difficile spiegazione: “la medaglia di Avrahàm mostrava un vecchio ed una vecchia su una faccia, un giovane ed una giovane sull’altra”. Che cos’è la medaglia di cui parlano? Da dove si ricava che Avrahàm l’avesse? E che cosa rappresentano quelle figure? E perché –contro una logica di tipo cronologico– viene descritta prima la facciata in cui compaiono un vecchio ed una vecchia, e solo dopo quella in cui i personaggi compaiono con aspetto giovanile? In primo luogo dobbiamo tener presente che la parola “matbéa‘”, medaglia, ha anche altri significati. La medaglia si chiama così in ebraico in quanto vi viene impresso (“nitbà‘”, dalla stessa radice di “matbéa‘”) un segno o un’immagine identificativa. Non a caso anche la natura di qualcosa, il suo modo di essere, viene indicato col la stessa parola, o con un’altra della stessa radice, “Téva‘”. Ad esempio, il “modulo” caratteristico delle benedizioni è il “matbéa‘” fissato dai Maestri. Quindi la “medaglia” altro non è che la più intrinseca essenza, la caratteristica principale identificativa del personaggio Avrahàm. Tale caratteristica è rappresentata innanzitutto da un vecchio e da una vecchia. Notiamo subito che qui non abbiamo solo la figura maschile: ciò ci dice che Avrahàm da solo non realizza la sua finalità nel mondo, a meno che non sia affiancato da Sarà; ma ci dice anche che la conoscenza di Avrahàm (la vecchiaia è simbolo di conoscenza, secondo il detto dei Maestri che affermano che la parola “zaqèn”, vecchio, è allusiva a colui – “zè” – che ha acquisito – “she-qanà” – conoscenza) non riguarda solo la sua personale realtà, ma una realtà che comprende tutto l’ambiente umano, ossia anche “l’altra parte del cielo”. Dal racconto della Torà sappiamo che questa conoscenza di Avrahàm – quella dell’esistenza di un solo D.o – può esplicarsi solo attraverso un “Lekh lekhà”, un distacco dalle convenzioni e convinzioni del tempo e del luogo; è da questo distacco che Avrahàm comincia ad essere un personaggio. Il punto finale di questo processo – lo leggeremo nella prossima Parashà – è un altro “Lekh lekhà”, un altro muoversi, quello che dovrà realizzarsi nella legatura di Itzchàk. Per comprendere correttamente quest’episodio dobbiamo far mente a come esso viene ordinato ad Avrahàm: “…fallo salire lì per un olocausto…”. Il vero scopo della legatura è quello di fornire un esempio di obbedienza e di fede alle generazioni future, a quel giovane ed a quella giovane che compaiono sull’altra faccia della medaglia. Avrahàm non sarebbe Avrahàm se non puntasse non solo alla conoscenza, ma alla sua trasmissione di generazione in generazione. Questo è il messaggio, l’insegnamento che la vicenda di Avrahàm ci trasmette; insegnamento che è alla base stessa del nostro essere Ebrei.
Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana