Bambini
Il dio Moloch, com’è noto, era una divinità sanguinaria, adorata dai Cananei, che avrebbero usato sacrificare ad essa i propri figli, ardendoli nel fuoco. Il suo ricordo ricorre più volte nella Bibbia, ove, tra i comandamenti sinaitici, figura esplicitamente, nel Deuteronomio (18.10), quello di non fare passare i figli attraverso il fuoco, a imitazione della pratica in uso presso i precedenti abitanti del Paese. Ma la barbara usanza appare attribuita dalle fonti anche a svariate altre popolazioni antiche, come, per esempio, i Cartaginesi (anche se, in tal caso, si tratta, probabilmente, di un’invenzione della storiografia romana, atta a mettere in cattiva luce la potenza nemica).
Il dio Moloch ci è tornato alla mente nel guardare, in questi giorni, le immagini dei bambini di Gaza. Bambini riuniti in scuole, asili e palestre dai cui tetti i terroristi di Hamas lanciano, quotidianamente, i loro messaggini di saluto indirizzati alle scuole, gli asili e le palestre dei loro vicini israeliani. Bambini allevati, fin dalla più tenera età, in una cultura nichilista, secondo la quale il valore della vita umana è zero, chiuso esclusivamente nell’imperativo religioso di dare la morte, o riceverla. Bambini destinati al sacrificio, in modo da potere, col loro sangue, concimare l’infinita ripugnanza verso il mostruoso nemico annidato, spaventoso e invisibile, a pochi chilometri dalle loro case. Se colpiti, i loro piccoli corpi, avvolti in bandiere nazionali, saranno avidamente ripresi dalle telecamere, e le loro esequie avranno una straordinaria risonanza mediatica: l’intero mondo sarà testimone delle loro vite troncate, perché tutti possano partecipare al rito collettivo del loro sacrificio. E saranno privati perfino delle lacrime delle loro madri, a cui sarà ordinato di trasformare il dolore in rabbia, odio e invettiva (con la proibizione, ovviamente, di maledire i veri responsabili della loro fine). Se risparmiati dalla guerra, saranno in ogni caso destinati a un’esistenza miserabile, priva di colori, libri, giochi, e piena di missili, urla, sirene. Bambini che suscitano tutti – vivi e morti, quelli che vivranno e quelli che moriranno – infinita pena, infinita tristezza, infinita pietà.
2Il giorno in cui ameranno i loro bambini – disse Golda Meir, quarant’anni fa – più di quanto odiano noi, quel giorno avremo la pace”. Non sappiamo se, nel pronunciare queste parole, così tristi e così vere, la grande Golda sperava, in cuor suo, che tale giorno sarebbe mai arrivato, se non nel suo secolo, almeno in quello successivo. Oggi, purtroppo, i fatti ci dicono che l’odio verso Israele è cresciuto, e i loro bambini, anziché essere amati, vengono nuovamente consacrati al dio dei Cananei.
Francesco Lucrezi, storico