Due rabbini ortodossi, tre opinioni ortodosse

Quando ho ricevuto l’invito a partecipare alla tavola rotonda del 25 novembre organizzata da Toscana ebraica in occasione dei suoi 25 anni su “Comunità ebraiche e rabbini” ho dato per scontato che avessero pensato a me in quanto noi ebrei torinesi siamo noti in tutta Italia per le nostre interminabili liti interne su questo tema. Ascoltando altri interventi, e in particolare quello di Tobia Zevi, mi sono però resa conto che in realtà la questione deve essere inquadrata in un contesto più ampio (è ancora praticabile il modello italiano di Comunità territoriali unitarie?), nell’ambito di un ebraismo europeo in cui convivono Comunità e organizzazioni ortodosse, conservative, riformate, con criteri diversi per determinare chi è ebreo: come ha raccontato Zevi, i giovani dell’UGEI organizzando attività con partecipanti da tutta Europa si sono trovati inevitabilmente a fare i conti con questa realtà e ne hanno discusso nel recente congresso; a suo parere anche gli adulti prima o poi non potranno fare a meno di affrontare il problema, e i giovani si troveranno in qualche modo ad aver aperto la strada. Di fronte a problemi così vasti, che potrebbero mettere in discussione la struttura stessa dell’ebraismo italiano, le polemiche torinesi a favore o contro il precedente o l’attuale Rabbino Capo sembrano davvero poca cosa, visto che si tratta comunque di due rabbini ortodossi. Eppure è un dato di fatto che da parte loro sono emerse opinioni divergenti anche su temi molto rilevanti. Dunque è possibile un dibattito vero, con la possibilità di operare scelte tutt’altro che scontate tra opzioni diverse, anche restando sotto l’ombrello unitario dell’ortodossia, e quindi forse il modello italiano non sarà necessariamente destinato a scomparire, purché sia in grado di valorizzare tutte le voci al proprio interno. Inoltre è troppo semplice ridurre ogni questione alla dialettica tra ortodossia e non ortodossia: il mondo ortodosso è molto più ricco e variegato di quanto a volte creda sia chi lo attacca sia chi lo difende.

Anna Segre, insegnante