Il lavoro in più
Verso la fine della parashà di Shemot che leggeremo domani c’è un episodio che ho sempre trovato straordinariamente attuale: in seguito alla richiesta di lasciar partire il popolo d’Israele, la prima reazione del faraone è di non fornire più la paglia per fabbricare i mattoni pretendendo al contempo lo stesso quantitativo di prima. È un modo per mettere in cattiva luce Mosè presso gli ebrei, ed è il sistema che è stato usato per tutta la storia contro ogni leader rivoluzionario. Oltre a questo, è anche interessante come l’episodio viene narrato, descrivendo nel dettaglio la catena di ordini, lamentele, spiegazioni e trattative che vedono coinvolti il popolo, gli ispettori egiziani e i sorveglianti ebrei, e poi questi ultimi di fronte allo stesso faraone: in alcuni punti sembra quasi di leggere i resoconti di oggi degli incontri tra sindacati, imprenditori e governo. Nel caso specifico le condizioni dei lavoratori non peggiorano per un aumento ufficiale dell’orario o per una diminuzione dello stipendio, ma perché allo stesso lavoro nelle stesse condizioni di prima si aggiungono incombenze nuove, presentate come se fosse ovvio che spettano al lavoratore stesso e contemporaneamente trattate come se non esistessero (nel senso che non sono conteggiate nell’orario e non comportano alcun tipo di compenso). È una situazione che molti lavoratori di oggi vivono spesso sulla propria pelle. Agli insegnanti, per esempio, spettano tutta una serie di compiti nuovi (organizzare attività di recupero, certificare le competenze, reperire e organizzare il materiale per prove scritte complesse come saggi, articoli, ecc.) che non esistevano al tempo in cui andavamo a scuola; eppure i professori di una volta erano considerati figure autorevoli, quelli di oggi sono visti come fannulloni. “Voi siete oziosi” dichiara appunto il faraone agli ebrei. Mi sembra quasi di sentire il faraone stesso, o i suoi ispettori, esaltare la maggiore efficienza raggiunta con il nuovo sistema che permette di tagliare i costi di produzione e biasimare il conservatorismo dei lavoratori che, ancorati a logiche superate, non accettano di buon grado di procurarsi da sé la paglia.
Chiedo scusa per i paragoni fuori luogo: sono deliri generati da una serata trascorsa fino a notte inoltrata (unico orario in cui il programma funziona a una velocità accettabile) a mettere voti sul registro elettronico.
Anna Segre, insegnante