“Destra e sinistra vogliono ancora dire qualcosa”

Su queste colonne, riflettendo criticamente sulla politica italiana e su Mario Monti, Dario Calimani ha ricordato come “gli inviti a dimenticarsi di destra e sinistra e a fare solo il pragmatico bene del paese (come se quel bene non avesse valori colorati o almeno qualche sana, sfumata differenza) contribuiscano a scandeggiare le diversità…”. Un ottimo spunto per riflettere anche sugli specifici orientamenti della realtà ebraica nostrana così come emergono dallo “sfoglio” di Facebook e siti vari.
Il panorama generale – lo dico con triste preoccupazione – è piuttosto piatto. Sia chiaro, non mi riferisco alla vicenda mediorientale, che per sua natura è particolarmente complessa, variegata, emotiva. Intendo dire che questo panorama non è piatto per motivazioni di ideologia in senso stretto, ma di modo di interpretare e vivere la realtà. Non è una questione di partiti o di movimenti, ma di sostanza. Secondo me, la moderna coniugazione di destra e sinistra sta nella propensione alla chiusura o all’apertura – verso la società, verso noi stessi, verso l’altro e gli altri. Dobbiamo guardare il nostro grado di aspirazione a un futuro collettivo migliore e al cambiamento oppure, al contrario, la timorosa accettazione dello status quo, la convinzione o meno che vi sia bisogno della politica – non del banditismo, della politica. Se così è, io guardo al riformismo di sinistra. Perché credo ancora nell’ottimismo della volontà. Perché mi piacerebbe tanto smettere di leggere lamentele, piagnistei, accuse in genere smaccatamente strumentali. Vorrei meno cori abbaiati e più discorsi pacati. Come dice la pubblicità, “immagina, puoi”. A patto, appunto, di usare più politica, non meno politica. E di pensare che destra e sinistra vogliano ancora dire qualcosa

Stefano Jesurum, giornalista

(17 gennaio 2013)