Qui Milano ­ – La Memoria entra in carcere

Un luogo di dolore. Ieri come oggi. È questo il carcere di San Vittore di Milano, prigione che ospita attualmente oltre 1700 detenuti e che quasi settant’anni fa rappresentò per tanti ebrei arrestati in Italia la prima tappa di privazione della libertà verso i campi di sterminio. Per il Giorno della Memoria rientra fra quelle mura il racconto di quelle storie, “di quegli innocenti finiti in carcere solo per la colpa di essere nati” per usare le parole di Liliana Segre, che a San Vittore fu rinchiusa a tredici anni insieme al suo papà per poi essere deportata ad Auschwitz. Liliana Segre è tornata in quei corridoi per portare la sua testimonianza in occasione dell’inaugurazione della mostra “Il filo dimenticato 1943-45 – Gli anni bui di San Vittore”. Realizzata su progetto della giornalista Alice Werblowsky, l’esposizione propone venti opere ricamate, eseguite proprio sulle lenzuola del carcere da 23 detenute, raffiguranti gli eventi di cui il carcere fu teatro negli anni della seconda guerra mondiale. A raccontare ciò che accadde anche Goti Bauer, che trascorse a San Vittore alcuni giorni nella primavera del 1944. E poi ancora Gabriella Cardosi, che riuscì a tenersi in contatto con sua madre Carla che lì era stata rinchiusa grazie al coraggio di una delle guardie carcerarie, Andrea Schivo, che per l’aiuto che portava ai detenuti ebrei fu arrestato e deportato, e oggi è onorato come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme.
Presenti all’inaugurazione della mostra, che rimarrà a San Vittore fino al 27 gennaio, per poi essere trasferita allo spazio Energolab dal 3 al 10 febbraio, anche l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri, il presidente della Provincia Guido Podestà, la direttrice di San Vittore Gloria Manzelli, il provveditore della Lombardia per l’amministrazione penitenziaria Aldo Fabozzi e il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, che ha portato il saluto della Fondazione Memoriale della Shoah, che ha patrocinato l’iniziativa insieme a Comune, Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, Associazione amici del Museo dell’arte di Tel Aviv, e Gariwo Foresta dei Giusti.
Impressionante la collocazione delle opere, le celle del Quarto Raggio di San Vittore, attualmente in disuso in attesa di ristrutturazione, ma utilizzate fino a pochi anni fa (e dove furono inizialmente rinchiusi i detenuti ebrei nel 1943). Negli spazi angusti, accanto ai ricami, fotografie di automobili e squadre di calcio, scritte e ritagli di giornale ricoprono completamente le pareti scrostate e i soffitti. Attraverso le sbarre delle finestre, si intravedono gli altri raggi: panni stesi ad asciugare, bottiglie di bibite, piccoli frammenti della vita quotidiana del carcere.

rt
(nell’immagine scattata da Joel Valabrega le detenute che ricamano)

(25 gennaio 2013)