Ticketless – Il cono d’ombra
Calato il sipario sul 27 gennaio, ogni anno sono inseguito da un incubo. Mi sveglio d’improvviso, gli occhi sbarrati. Sogno di essere prigioniero dentro un cono. L’ombra del professor De Felice mi rincorre urlando: “Fuori, e vedi di sparire anche dalla mia ombra”. I luoghi comuni storiografici turbano i miei sonni, perché in Italia tendono a ripetersi come un disco rotto: fra l’altro ho un ricordo molto gradevole di un pranzo a Roma con il Professore, che non aveva il fascino di un attore di Cinecittà, ma non era Dracula. Il suo libro mi capita di riaprirlo spesso, vi imparo sempre qualcosa, anche se nel frattempo la ricerca è andata avanti. Questo ritornello del cono proprio non mi persuade. Le cifre parlano chiaro: di tutti i paesi che hanno subito l’occupazione tedesca, l’Italia si situa dopo la Danimarca e la Finlandia. È il terzo paese con la più bassa percentuale di vittime dello sterminio. Se si considera che la maggior parte degli ebrei erano residenti nella parte della penisola dove più a lungo durò l’occupazione nazista, su quel 17.3 % bisognerebbe ragionare con più serenità, lasciando da parte gli accanimenti postumi contro il Professore. La percentuale è comunque spaventosa, ma come insegna Mario Pirani nella sua autobiografia, lecito dire che, forse, poteva andare anche peggio. Fuori del cono d’ombra del nazismo s’è visto di tutto, un arcobaleno di atteggiamenti, dal nero delle delazioni, alla pietas di un fascista di Salò. Fuori del cono d’ombra s’è visto innanzitutto un viluppo di odio e di amore. Giacomo Debenedetti, come gli odierni detrattori del Professore, non vedeva altro che lacrime e sangue. Faticava a spiegargli che cosa fosse quel viluppo di odio e di amore il dolcissimo Umberto Saba delle Scorciatoie, che vado subito a rileggermi appena mi riprendo dall’incubo annuale di fine gennaio.
Alberto Cavaglion
(30 gennaio 2013)