…giovani
Ha ragione Gadi Luzzatto Voghera a sottolineare che forse gli studenti, o almeno una parte del mondo della scuola, ha più curiosità e meno retorica intorno alla storia e alla riflessione sulla questione della memoria. Il “giorno della memoria” ha una chance di vita solo se quella fascia di nati negli anni ’80 avrà uno spazio suo. Sono giovani che si sentono investiti di una funzione civile, che avvertono la crisi del patto costituente e che si misurano con il problema di contribuire a costruire, oltreché se stessi, anche una generazione che abbia il senso del passato. E’ una generazione che da noi, intendo da quelli della mia generazione, ha avuto in abbondanza la precarietà.
Il “giorno della memoria” avrà ancora un domani, qualunque fisionomia assumerà domani, se questa fascia di minoranza avrà spazi culturali, operativi, anche dando gambe alla propria sensibilità. Ovvero se riuscirà a farsi largo tra una fila sempre più esigua di sopravvissuti, una generazione di miei coetanei che pensano di essere gli eredi di quella storia e che spesso rivendicano un ruolo di protagonisti o di voci testimoniali per conto terzi e una massa di “spettatori tiepidi” pronta a dire “mai più” per abitudine. Di fronte c’è una massa di adolescenti, spesso i figli della mia generazione, a cui noi non sappiamo parlare, e a cui non siamo in grado di raccontare. Da cui ci separa un gap tecnologico, e di cui spesso ignoriamo i codici di sensibilità, di linguaggio, di emozione.
David Bidussa, storico sociale delle idee
(3 febbraio 2013)