Un leader lontano
Davvero l’unico problema degli ebrei italiani rispetto a Berlusconi sono le sue possibili alleanze? È questa l’idea che sembra suggerire l’articolo di Sergio Della Pergola pubblicato sul numero di febbraio di Pagine ebraiche; forse è un’impressione che non corrisponde alle intenzioni dell’autore – tant’è che l’intervento dello stesso Della Pergola su l’Unione informa di ieri dice cose ben diverse – comunque mi pare un tema meritevole di riflessione. A me il personaggio di Berlusconi trasmette una sensazione di abissale lontananza dalla cultura ebraica, dai valori che solitamente consideriamo ebraici e dai temi che stanno a cuore agli ebrei. Già è significativa la sua assenza dalle nostre manifestazioni: in quasi vent’anni di attività politica quando mai l’abbiamo visto in un convegno, in un congresso Ucei? Ha fatto capolino solo – e neanche tanto spesso – in occasioni riguardanti Israele. Non ha mai partecipato a eventi relativi al Giorno della memoria e, quando finalmente quest’anno lo ha fatto, ha detto cose tali da far pensare agli ebrei (per una volta miracolosamente tutti d’accordo tra loro) che sarebbe stato meglio se fosse rimasto a casa.
Per l’ebraismo la giustizia è un tema fondamentale, istituire tribunali è l’unico precetto positivo che deve essere comune a tutti i popoli. L’ex premier, anche al di là delle sue vicende personali, in molte occasioni si è espresso in modo negativo nei confronti della figura del giudice in sé, e a volte della stessa esigenza di ricercare la verità e le responsabilità, presentata come un’inutile, dannosa e patologica pulsione a rinvangare il passato (passato che, peraltro, si può riscrivere e stravolgere a proprio piacimento quando le circostanze lo richiedono, proponendo magari in pochi giorni versioni contrastanti degli stessi fatti; anche questo mi sembra lontanissimo dall’importanza che la cultura ebraica attribuisce al ricordo e all’assunzione di responsabilità che ne deriva). Lasciando stare la sua immagine della donna, giudicata sempre e solo sulla base di canoni estetici come se non esistesse altro (concezione lontanissima dall’ebraismo, che a volte magari discrimina le donne ma certo non le sottovaluta), rimane il problema forse più grave, e che spiega la sua pressoché totale assenza da qualunque nostro evento: la noncuranza, quando non la diffidenza o il vero e proprio disprezzo, per la cultura, la scuola, l’istruzione.
Credo che tutti questi valori che ho definito tipicamente ebraici – la memoria, la responsabilità, la giustizia, la cultura, il rispetto per la dignità della donna, la centralità attribuita a tribunali, giudici, scuole, insegnanti – siano ugualmente condivisi da tutti gli ebrei, di destra, di sinistra, e di centro; per cui suppongo (ma non sta a me dirlo e non ho la presunzione di capire le ragioni altrui) che gli ebrei che sceglieranno di votare la coalizione di centro-destra lo faranno non per amore del suo leader ma nonostante lui e con la speranza di riuscire un giorno a fargli cambiare idea almeno su alcuni di questi temi. Per quanto mi riguarda, questa lontananza e difformità di valori da parte di un personaggio così centrale nella storia italiana ha sempre suscitato in me un’inquietudine che nessuna ostentata amicizia per Israele potrà mai attenuare.
Anna Segre, insegnante
(8 febbraio 2013)