A confronto su bioetica e circoncisione
Confronto fra voci diverse e diverse esperienze di conoscenza, a Milano, su Bioetica medica, la circoncisione inserita nel contesto attuale. Il rav Roberto Della rocca, direttore del dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha presentato al pubblico fra gli altri il rav Riccardo Di Segni (medico e rabbino capo della Comunità ebraica di Roma), Daniela Ovadia (giornalista scientifica e esperta di bioetica), Daniela Dawan (avvocato penalista) e rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano. Primo a prendere la parola è stato Giorgio Mortara, medico, mohel e presidente dell’AME, l’Associazione Medica Ebraica. “Non dimentichiamoci il motivo per il quale siamo riuniti: il brit milà è il patto tra l’uomo e D-o ed è responsabilità dell’istituzione comunitaria far sì che questa pratica sia mantenuta nel rispetto della nostra tradizione, garantendo la salute del neonato, prevenendo complicazioni o errori integrando le figure del mohel e del medico, e prevenendo anche, in questo modo, gli attacchi che ci vengono portati da alcune parti della società civile”. Dopo aver raccontato come la sua esperienza di mohel lo abbia portato ad operare in condizioni anche molto differenti fra loro, ha precisato che la posizione dell’AME tiene conto della legislazione italiana, secondo il principio dina de malkuta dina, e sostiene che la milà deve essere praticata da medici abilitati all’esercizio della professione, o da esperti circoncisori dopo una adeguata formazione – eventualmente si potrebbe costituire un albo – assistiti da un medico chirurgo, pronto a intervenire se ci fossero delle complicazioni. Fra le responsabilità del medico presente, inoltre, rientrano anche la responsabilità di fare una visita preparatoria al neonato e di ottenere il consenso informato da parte di entrambi i genitori. Il rav Riccardo Di Segni, che oltre ad essere medico e rabbino della comunità romana è anche vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica, istituito nel 1990, che “svolge sia funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre istituzioni, sia funzioni di informazione nei confronti dell’opinione pubblica sui problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche e delle applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute”, ha ricordato come per la legislazione si definisca un atto medico quello che è diretto a prevenire, diagnosticare o curare una malattia, o a lenire il dolore, per cui la milà è un atto religioso, prospettiva inversa alla visione ebraica, per la quale invece serve a correggere un errore congenito. Parlar di milà significa toccare aspetti halakhici, medici e giuridici ed è importante e delicato, soprattutto in un momento in cui è una tradizione soggetta ad attacchi anche molto violenti, prima negli Stati Uniti, poi in Germania. Anche in Israele ci sono alcuni gruppi contrari alla circoncisione, e tutti i basano principalmente su un supposto diritto del bambino a scegliere. Infatti il Comitato Nazionale di Bioetica ha dichiarato nel 1998 che la circoncisione rituale maschile è compatibile con l’articolo 19 della Costituzione italiana, che riconosce completa libertà di espressione cultuale e rituale sia a livello individuale sia collettivo. Allo stesso tempo la circoncisione rituale deve essere considerata alla luce di altri valori costituzionalmente protetti come la tutela dei minori o quello della loro salute. Dopo un’analisi dei brani della Torah dove se ne parla e una disamina dei casi in cui va praticata la circoncisione – ossia non solo al figlio nato in casa – che ha portato a vederla come una affermazione di libertà, rav Di Segni è passato ad un grande excursus storico, a partire dall’editto di Adriano, che estendeva alla circoncisione le misure penali previste dalla Lex Cornelia per la castrazione, fino a problemi più recenti e alla spiegazione della pratica medica. Daniela Ovadia ha affrontato l’argomento da tutt’altra prospettiva, invece, partendo dal presupposto che esistano delle buone ragioni anche nella controparte e iniziando da una carrellata di casi controversi, tra cui per esempio il progetto norvegese di legge che abolirebbe la circoncisione per i minori, o la situazione australiana che nel Queensland limita fortemente la circoncisione non medica e potrebbe arrivare a vietarla per i minori, al referendum del 2011 per l’abolizione della circoncisione infantile nell’area di San Francisco.
La bioetica però segue un complesso di normative storicamente ben determinate, a partire dal 1947 con il Codice di Norimberga, che riguarda la sperimentazione ma stabilisce la necessità di un consenso per qualsiasi atto effettuato sul corpo, il divieto di praticare atti medici non necessari e il diritto all’integrità corporea. Nel 1975 si entra in maggiori dettagli pratici e si parla per la prima volta di diritto di surroga del minore e nel 1997 con la convenzione di Oviedo si arriva alla protezione di diritti e dignità. In sostanza per chi si occupa di bioetica i problemi posti dalla circoncisione sono tanti e rilevanti, ha continuato, a partire al fatto che la milà non è motivata da una ragione terapeutica, e che è un atto irreversibile, deciso dai genitori, non dal diretto interessato.
Ma vanno chiariti i margini legali entro cui può essere considerata una pratica accettabile, proprio perché “fare chiarezza significa anche fare prevenzione nei confronti dell’antisemitismo”.
L’intervento di Daniela Dawan, di taglio prettamente legale, è stato tutto incentrato sulla difficoltà di definire cosa sia la milà, che non è un atto medico, che non è una mutilazione – e non va associata in alcun modo alle mutilazioni genitali femminili, nonostante spesso ci sia chi cade in questa tentazione – e non è una lesione. Non è quindi reato, ma implica una complessità che si riduce in campo ebraico, rispetto alla circoncisione praticata dai musulmani, principalmente a causa del momento in cui viene praticata: operare su un neonato implica che si tratta di un intervento considerato semplicissimo e che quindi crea minori problemi, e può, per esempio, essere praticato anche da un mohel. Addirittura l’avocato Dawan – in contraddizione con le posizioni di Daniela Ovadia – si è spinta a ipotizzare che arrivare ad una normativa così specifica potrebbe non essere la cosa migliore, in quanto in sua assenza ci sarebbero più ambiti di libertà. Rav Arbib poi, a cui è stata affidata la conclusione della serata, ha voluto offrire al pubblico un midrash che affronta alcuni problemi connessi con la prima milà, per poi raccontare come il Maharal di Praga sostenesse che è il numero 8, come gli otto giorni della milà, ad essere il numero ebraico per eccellenza, non il sette. Perché il numero sette – i sette giorni della creazione – riporta alla fenomenologia del creato, della natura, mentre l’8, che è dato da sette più uno, porta a un passo oltre, alla metafisica. Ossia la milà, il passaggio che porta a entrare nel mondo delle mitzvot, è l’accesso ad un mondo metafisico.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(5 marzo 2013)