Pessimisti e ottimisti
Al di là delle differenze di idee e di posizioni, mi pare che i commenti e gli umori, riguardo all’esito delle elezioni italiane, oscillino sostanzialmente tra i due opposti poli dell’ottimismo e del pessimismo. C’è chi pensa, che, alla fine, il buon senso prevarrà, che la scossa potrà rivelarsi salutare, che si aprirà una stagione nuova, con nuove e interessanti opportunità ecc. ecc. E c’è chi pensa, invece, che la situazione sia una delle più buie conosciute dal nostro Paese nel dopoguerra, che non si scorgano schiarite all’orizzonte e che, se oggi va male, domani potrebbe andare anche peggio.
Naturalmente, anche gli ottimisti – se muniti di almeno un minimo di raziocinio – non si nascondono le difficoltà e i pericoli, e anche i pessimisti – tranne i depressi e i catastrofisti di mestiere – non escludono che, in qualche modo, le cose possano un po’ aggiustarsi.
Personalmente – pur dotato, di natura, di un carattere non particolarmente tetro – mi iscrivo, purtroppo, al partito dei pessimisti. Ma ho maggiore simpatia umana per gli ottimisti, di cui cerco la compagnia e la conversazione, per farmi coraggio, così come invece cerco di evitare il discorso con i miei “compagni di partito”.
Limitatamente al problema della salvaguardia, nel presente e nel futuro, dei valori dell’ebraismo, ho cercato di analizzare su cosa il mio pessimismo possa basarsi. E sono andato a ripercorrere un po’, mentalmente, la storia che conosciamo, per vedere quando questi valori, in passato, siano stati minacciati, e per chiedermi se tali circostanze si possano oggi, magari sotto mutate spoglie, ripresentare.
Da quel po’ di storia che conosco, mi sembra di ricordare che, quando la situazione economica va male, o molto male, per gli ebrei suona una campanella di allarme, perché prima o poi salta su qualcuno a dire che è colpa loro.
Ricordo, poi, che, in passato, quando il costume civile si è imbarbarito, e la lotta politica è giunta a travalicare e calpestare il rispetto per le singole persone, per gli ebrei non ha tirato una buona aria. Ricordo anche che, da quando esistono le istituzioni democratiche, gli ebrei, come tutte le minoranze, hanno sempre trovato in esse un essenziale strumento di difesa e salvaguardia, e, quando tali istituzioni hanno vacillato, o hanno perso il consenso e la fiducia della popolazione, le minoranze, e gli ebrei tra esse, sono state le prime ad avere qualcosa da temere.
Ricordo infine, che, tutte le volte che sul terreno è spuntato un capo carismatico, seguito da folle oceaniche di masse plaudenti, per gli ebrei non è stato un buon momento. I capi carismatici a volte sembrano buoni, a volte cattivi. A volte restano quello che sembrano, altre volte, invece, passano improvvisamente da buoni a cattivi, semplicemente perché così, al momento, gli gira. In ogni caso, le masse li seguono sempre, dovunque vadano. Per cui credo che la storia insegni che è sempre meglio diffidare di loro, anche quando sono, o sembrano, buoni.
Sono ragioni sufficienti per fondare su di esse il mio pessimismo? Spero di no, e vado a cercare un amico ottimista.
Francesco Lucrezi, storico
(6 marzo 2013)