I valori e le mode
Alle amare e sconsolate considerazioni che ho già avuto modo di pubblicare, su questo notiziario, relativamente alla congiuntura politica e culturale che il nostro Paese sta vivendo (e nella quale mi sforzo, invano, di trovare qualche piccolo motivo di speranza, o qualche minuscolo spiraglio di possibile, futuro, ipotetico miglioramento), voglio solo aggiungere la sensazione di disagio che provo innanzi ai reiterati suggerimenti, avanzati da più parti, volti a favorire la formazione di una nuova maggioranza di governo, sulla base di una possibile concordanza tra alcuni dei punti programmatici presentati da talune delle forze politiche che hanno raccolto più voti e che, se alleate, permetterebbero a un nuovo governo di ottenere la fiducia. Si fa notare come tanti punti della tale piattaforma programmatica siano condivisibili, non siano distanti o incompatibili col programma di quell’altro partito, che ci vorrebbe dunque a mettersi d’accordo? Io voto le cose che piacciono a te, tu quelle che piacciono a me, molte delle cose piacciono a tutti e due, o a tutti e tre, non è tanto difficile. Da che deriva il mio disagio? Dal fatto che pochi sembrano porre attenzione non al merito dei vari programmi, ma a quella che a me sembra una cosa essenziale, fondamentale, preliminare a qualsiasi tipo di dialogo e di accordo, e senza la quale mi pare completamente inutile e fuorviante parlare di intese e alleanze. Mi riferisco, semplicemente, banalmente, ai valori del rispetto, della capacità di ascolto, della distinzione tra le idee e le persone, della disponibilità, attraverso il civile confronto, a rivedere anche le proprie posizioni, della convinzione di fare parte di un’unica comunità, del rifiuto intransigente di ogni forma di sopraffazione e violenza. Mi chiedo: questi valori sono passati di moda? Vanno anch’essi rottamati con la Seconda (o Terza, non so) Repubblica? Se è così, d’accordo, sono evidentemente io a essere fuori moda. Ma se non è così, come si fa a mettersi d’accordo con chi propone delle cose magari bellissime, condivisibili, sensate, progressiste, ma lo fa ringhiandoti contro con odio, rabbia e disprezzo, e dicendoti che devi semplicemente scomparire, subito, con le buone o con le cattive? E’ possibile farlo? E sarebbe giusto farlo? Il modo in cui gli esseri umani comunicano fra di loro, le parole e i gesti prescelti, sono del tutto ininfluenti? Di fronte al ricorrente problema se l’identità ebraica trovi una più naturale collocazione tra le fila della destra o della sinistra – una questione che sembra alquanto dividere gli ebrei italiani, e allontanarli, in una certa misura, almeno apparentemente, dagli israeliani -, credo che l’idea della comune appartenenza al terreno della civiltà e del rispetto possa riproporsi come un fondamentale fattore di unità, se non un vero e proprio elemento identitario. La geometria, prima ancora della politica, richiede che ci siano sia una destra che una sinistra, mentre dell’inciviltà si farebbe volentieri a meno.
Francesco Lucrezi, storico