In cornice – Il vuoto in Polonia

Non è ebreo, ma per Miroslaw Balka la Shoah costituisce un’importante fonte di ispirazione. Quando me ne parlò per la prima volta, diversi anni fa, mi disse che lo colpiva in particolare il vuoto lasciato a Varsavia o a Otwacz dove è nato, da una popolazione che per secoli ha lavorato fianco a fianco ai suoi antenati ed è poi scomparsa nel nulla. E che nessuno in Polonia vuole ricordare, sia per antisemitismo sia per sensi di colpa. Le sue opere trasmettono proprio questo senso di vuoto. Nel 2009-2010 creò una impressionante installazione nella Turbine Hall, la gigantesca ex-sala turbine, di quella centrale elettrica dove si è trasferita la Tate Modern di Londra. Costruì un enorme container in metallo che sembrava legno: i visitatori che vi entravano cadevano improvvisamente in un buio assoluto, totale, in una specie di buco nero come quello che ha risucchiato quei milioni di nostri fratelli. Poi si accendevano le luci e proiettavano le sagome dei visitatori sui lati dell’enorme container, sagome che sparivano non appena ci si muoveva. La percezione del vuoto e della precarietà hanno fatto la fortuna di quell’opera, intitolata “How it is” (“Come è”) in omaggio a una storia di Samuel Beckett in cui il protagonista racconta della sua vita muovendosi nel fango. Credo che questo genere di installazioni siano molto più potenti ed evocative di quelle più ovvie, che talvolta lo stesso Balka realizza. In altre occasioni, infatti, proietta sui tutti i lati delle sale un video in cui ripropone senza interruzione di baracche abbandonate, terreni piatti innevati, alberi spogli. Niente ci dice che siamo in un lager, eppure è evidente, ed infatti il video è stato realizzato a Majdanek. Non che l’opera non sia toccante, ma preferisco l’impalpabilità, lo shock emotivo di “How it is”. Perché questo è la Shoah.

Daniele Liberanome, critico d’arte
(8 aprile 2013)