Qui Milano – Facciamo i conti con la crisi. Gli uomini del Bilancio mettono le carte in tavola
Sono anni che si ripete che i conti della Comunità ebraica di Milano attraversano acque agitate. Tanti gli interrogativi quanto alle motivazioni alla base di questi problemi e soprattutto verso le possibili soluzioni, verso quella necessità di trovare un equilibrio che realizzi una vita comunitaria ricca e inclusiva, che catalizzi la pluralità identitaria delle varie edot che la compongono, e la sostenibilità economica delle sue istituzioni. A fornire la propria visione in questa prospettiva sono coloro che negli ultimi anni questi conti li hanno gestiti. Tanti e molto diversi gli spunti di riflessione, con un tratto fondamentale in comune: quando si guardano i bilanci di una Comunità ebraica i numeri raccontano solo una parte della storia. Ma spesso, anche l’altra parte, quella della partecipazione, del legame degli iscritti, anch’essa dai numeri può trasparire. “Il presupposto è che gestire una Comunità è completamente diverso che gestire un’azienda – spiega Leone Soued, che durante il suo mandato da presidente dell’istituzione milanese (2006‐2010), ha mantenuto anche la delega al Bilancio – Fondamentale non è l’aspetto economico, ma quello sociale. E così ci sono tanti valori da prendere in considerazione che non trovano espressione nel bilancio”. Soued offre la sua prospettiva sugli anni che lo hanno visto protagonista della vita comunitaria, in cui fu portata a termine la delicata operazione di costruzione della nuova Casa di riposo e la vendita della vecchia struttura, con l’ultimo bilancio consuntivo, quello 2009, che presentava un deficit di gestione ordinaria molto più elevato dei precedenti, e che è stato in seguito oggetto di molte polemiche. “È necessario però sottolineare che in quel periodo la Comunità, con l’eccezione della Casa di riposo, non aveva proceduto ad alcuna dismissione immobiliare, a differenza di quanto è stato fatto negli anni successivi. Chiaramente le entrate straordinarie migliorano il risultato d’esercizio, ma non significa che risolvano la sostenibilità dei costi. Con quei bilanci che presentammo poco prima delle elezioni (primavera 2010) volevamo lanciare proprio questo messaggio, invitare gli iscritti e i candidati alla riflessione su questo concetto. Un messaggio che forse non venne colto”. A fornire una chiave di lettura delle difficoltà del biennio 2008‐2009 è Michele Arditi, all’epoca consigliere con delega ai tributi. “La crisi economica cominciò a farsi sentire pesantemente. Ma abbiamo avuto, e permane tuttora, anche un problema di mancato ricambio generazionale – spiega – Tradizionalmente la Comunità si è sempre retta sui piccoli contribuenti, ma anche su un gruppo di donatori più importanti. Man mano, nuove famiglie si affermavano sostituendo le vecchie generazioni. In quegli anni abbiamo cominciato a vedere che i giovani non avevano la possibilità o la volontà di assumersi quella responsabilità”. Secondo Roberto Jarach, presidente dall’estate 2010 all’estate 2012 (e già dal 2002 al 2005), e assessore al bilancio negli ultimi sei mesi del mandato (conclusosi con elezioni anticipate), due sono gli ingredienti fondamentali per costruire la sostenibilità. Un’attenta gestione dei costi, che secondo l’attuale vicepresidente UCEI è possibile (“basta guardare il diverso andamento dei conti con il susseguirsi delle amministrazioni negli anni”), è fondamentale, ma non può bastare. “La Comunità tuttavia sa di poter statisticamente contare su una certa cifra di lasciti ogni anno – sottolinea – Se noi consideriamo che queste entrate, pur straordinarie, vadano regolarmente a coprire il deficit ordinario, i conti possono quadrare”. Jarach assunse la delega al bilancio dopo le dimissioni dal Consiglio di Alberto Foà. Nella sua gestione dell’assessorato fu presa una delle decisioni più discusse della storia dell’ebraismo milanese: il ricorso a esatri per la riscossione dei tributi comunitari. “Penso che esatri possa essere uno strumento valido, ma nel contesto della Comunità si è dimostrato difficile da utilizzare. Oggi non farei più la stessa scelta” ammette Jarach, commentando anche un’altra proposta che fu realizzata dalla sua amministrazione: la gratuità della retta del nido e della materna. “Ha portato benefici, ma non un aumento tale delle iscrizioni da compensare il fatto che offrendo un servizio gratis si finisce sempre non soltanto per aiutare chi ne ha bisogno, ma per riconoscere un ingiusto privilegio a chi non ne ha”. La scuola rimane la principale fonte di deficit della Comunità. Una scuola che rappresenta un punto di riferimento fondamentale, ma che soffre per il calo demografico, oltre che per la concorrenza di altre due scuole ebraiche, una legata al movimento chassidico Chabad e l’altra alla edah di origine libanese. Tanti i progetti che circolano per una via d’uscita: l’ipotesi di chiudere le superiori, dove la perdita è maggiore, scelta fortemente osteggiata da una importante parte di iscritti, l’idea di rendere la scuola autonoma dalla Comunità e gestita da un board dedicato, l’accesso a finanziamenti pubblici sul modello di quanto avviene in altri paesi europei, come la Francia. “Stiamo studiando progetti nei vari settori per rendere la gestione ordinaria della Comunità sostenibile ‐ rassicura l’attuale assessore alle Finanze Raffaele Besso, in carica nell’estate 2012 sotto la presidenza di Walker Meghnagi ‐ Certo non è un risultato che si possa ottenere nel breve termine, però sono convinto arriverà. Entro la fine del nostro mandato avremo il pareggio di bilancio, anche per quanto riguarda la scuola. In questo modo potremo usare le entrate straordinarie per ridurre il debito”. L’assessore sottolinea anche l’importanza di contare su un Consiglio in cui si lavora collegialmente senza seguire le logiche di maggioranza e opposizione. Un altro punto qualificante della visione di Besso è quello del ricorso al fund raising. “Sia io che il presidente ‐ sottolinea ‐ proveniamo dal Keren Hayesod e crediamo molto nella possibilità di raccogliere donazioni, in modo regolare e sistematico. Ci stiamo impegnando anche in questa prospettiva”.
L’assessore della burrasca rompe il silenzio:
“Rilancio al di là dei conti economici”
Un impegno comunitario che ha fatto discutere come raramente è accaduto nella storia recente dell’ebraismo milanese. Questo ha rappresentato il (breve) mandato di Alberto Foà, figura di primo piano della consulenza finanziaria italiana, come assessore al Bilancio: candidato nella lista Ken alle elezioni del 16 maggio 2010, Foà si dimise, in modo burrascoso, il 23 dicembre 2011. Non prima però di aver lasciato una decisa impronta alle politiche comunitarie. Accanto a varie opere tra cui la riorganizzazione amministrativa, il consolidamento del debito e la risoluzione dell’esposizione verso gli enti previdenziali, Foà fu anche il primo sostenitore dell’affidamento della riscossione dei tributi comunitari all’esatri, che provocò fortissime polemiche. In seguito a tensioni crescenti non soltanto con l’opposizione, ma con la sua stessa Giunta, si dimise con una durissima presa di posizione. Dopo un lungo silenzio Foà rivendica oggi l’idea che le soluzioni per una Comunità economicamente sostenibile esistano, e che non passino affatto solo dai numeri. “Penso che durante il mio mandato si sia dimostrato che ai problemi è possibile fornire delle risposte: una migliore organizzazione, un’imposizione dei tributi più equa e seria, un’azione di reporting, cercando di premiare il merito. Il problema è che un approccio di questo tipo, se avvantaggia la collettività nel lungo periodo, scontenta qualcuno nell’immediato. Dopo un anno e mezzo, la mia sensazione fu che tornassero a prevalere logiche legate a determinati vincoli, e preferii dimettermi”. Ma per rendere la vita comunitaria più sostenibile, migliorarne l’efficienza non è sufficiente. “La Comunità ebraica – spiega Foà – va rilanciata al di là dei conti. Oggi è sempre più sparuta, rischia di ripiegarsi su se stessa, senza generare un senso di appartenenza nelle edot che sono state protagoniste negli ultimi anni di un avvicinamento all’osservanza religiosa, né in chi è rimasto fuori da questo fenomeno. Penso che da questo punto di vista sia significativo l’episodio che ha riguardato le regole d’iscrizione al Talmud Torah del Noam (punto di riferimento della kehillah persiana ndr), che io giudico grave. Per risolvere tutto questo, è necessario proporre non soltanto una gestione efficace, ma una visione. Perché la potenzialità per avere una Comunità non soltanto sostenibile, ma florida, c’è tutta, e passa dalle persone che si riescono a coinvolgere”. Foà si mostra critico verso l’attuale modello di “grande coalizione” (deleghe e assessorati assegnati a esponenti di entrambe le liste in Consiglio Welcomunity e Ken 2.0) che può funzionare “solo a patto di lavorare su obiettivi precisi”. In questo caso, sottolinea, “mi sembra invece che la logica prevalente sia di tenere sopita la diversità di posizioni”. “Quando ci sono problemi – conclude – è bene affrontarli alla luce del sole. Giudico molto importante la trasparenza e la comunicazione verso gli iscritti. Un’esigenza che in questo momento non appare come prioritaria”. “La mia impressione è che oggi la Comunità si preoccupi di soddisfare il pubblico che raggiunge, e non quello che potrebbe raggiungere. Viviamo un momento di grande risveglio identitario. La sfida chiave da cui passa il rilancio parte da qui. A livello economico, ma soprattutto sociale”.