purezza…

“U-sfartèm lakhèm mi-machoràth ha-Shabbàth eth ‘Òmer ha-tenufà, shéva‘ shabbathòth temimòth tihyéna”, “Conterete per voi dall’indomani della festa l’Òmer dell’elevazione, sette settimane complete saranno”. Con questo verso la Torà prescrive il conteggio dei giorni del periodo dell’‘Òmer, cioè del periodo tra Pésach e Shavu‘òth nel quale ci troviamo.
L‘Òmer, la misura d’orzo che veniva portata al Santuario, logicamente non viene più né presentata né elevata. Invece il conteggio è rimasto. Perché? Per rispondere, dobbiamo fare mente locale ad altri momenti collegati ad un conteggio di giorni o di epoche. Innanzitutto, noi contiamo i giorni della settimana con riferimento alla Shabbàth: “yom ri’shòn (shenì, shelishì, …) be-shabbàth”, “giorno primo (secondo, terzo, …) per il Sabato”; pertanto il conteggio è in relazione allo Shabbàth, ragione e scopo di tutto il lavoro settimanale. Si contano i giorni di scadenza per la Milà. Contano mensilmente i giorni preparatori al Miqwè le donne sposate. Contava i giorni una persona affetta da impurità rituale prima di riacquisire la purezza del corpo e poter rientrare a pieno diritto nella società. Si contavano gli anni rispetto alla scadenza dell’anno sabbatico, ogni sette anni, ed infine si contavano gli anni prima della scadenza dell’anno giubilare. Quest’ultimo computo era di quarantanove anni, parallelo ai quarantanove giorni dell’‘Òmer. Ora, se facciamo attenzione a tutti questi conteggi, notiamo che in tutti si tratta di passare da una condizione ad un’altra del tutto diversa: lo Shabbàth si pone in una dimensione extratemporale rispetto alla settimana; l’ottavo giorno di vita del neonato segna il suo ingresso nell’alleanza di Avrahàm e la sua effettiva nascita alla vita d’Israele; la moglie, col Miqwè, rinnova il magico momento della sua unione col marito; la persona impura, riacquistando la purità, rientra dall’isolamento nella collettività; l’anno sabbatico rinnova i rapporti con la società e la natura; l’anno giubilare significava una pacifica rivoluzione nei rapporti della vita sociale. Anche l’‘Òmer segna il passaggio d’Israele da una condizione ad un’altra. Israele, che con Pésach celebra la proclamazione della sua unità di popolo, deve prepararsi a celebrare la sua nascita alla vita vera d’Israele, alla sua vocazione di popolo sacerdotale, che si celebra a Shavu‘òth, col dono della Torà. Israele deve salire gli scalini di questa nuova vita, deve contare gli scalini che lo condurranno ad essere “mamlékheth kohanìm we-goy qadòsh”, “un reame di sacerdoti e un popolo consacrato”.

Elia Richetti, presidente Assemblea rabbinica italiana