Qui Trieste – Tra Storia e Memoria

Sessione molto intensa quella di ieri pomeriggio al prestigioso convegno internazionale Storia e memoria, raccontarsi e raccontare il passato, parte del neonato Laboratorio della Memoria, progetto triestino che punta a trasformarsi in un Centro Studi a cui possano fare riferimento quanti lavorano alla ricostruzione delle memorie individuali e collettive. Annette Wiewiorka, del Centre National de la Recherche di Parigi, in un denso intervento dedicato alle testimonianze durante i processi ai crimini e criminali di guerra nazisti ha raccontato come i testimoni dell’accusa durante il processo di Norimberga furono relativamente pochi, e la percezione del loro ruolo molto differenziata a seconda delle nazioni: per l’accusa americana e britannica si trattava di portare delle testimonianze di personalità di spicco del mondo politico o di militari. a completamento della vasta documentazione scritta che era stata raccolta. Invece l’accusa francese e quella sovietica portarono alcuni testimoni, chiamati alla sbarra ad esporre pubblicamente le sofferenze subite nei campi di concentramento o nei campi di sterminio. Il processo Eichmann fu invece il punto di svolta: i testimoni si assunsero il compito di raccontare la storia, tutta la storia delle persecuzioni. Un ulteriore tappa dello sviluppo si evidenzia nel 1987, quando si può dire che la sensibilità è cambiata: i testimoni del processo Barbie si sono oramai trasformati in ausiliari del dovere della memoria, e la storia è ormai solo quella delle loro sofferenze. Ha poi preso la parola Valentina Pisanty, dell’Università di Bergamo, che ha proposto un approccio semiotico agli usi e agli abusi della memoria che ha definito “olocaustica”, spiegando come la memoria dello sterminio ebraico attivi una porzione ideologicamente sensibile della propria matrice identitaria. Simon Levis Sullam, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha proposto un ragionamento su alcuni aspetti della memoria degli intellettuali italiani di fronte ad Auschwitz, proseguendo con una riflessione sulla nozione di testimone.

Questa mattina per aprire la prima sessione, intitolata Violenza, memoria e lutto e coordinata da Anna Maria Vinci, dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Gabriella Gribaudi dell’Università Federico II di Napoli, ha parlato di come ricordano donne e uomini di fronte alle violenze di guerra e delle loro narrazioni. Poiché il trauma rimane una ferita aperta nella storia personale, è estremamente difficile effettuare quella che gli psicoananalisti definiscono “sostituzione simbolica” e la sofferenza viene rimossa oppure riproposta per tutto il resto della vita. Nel primo caso evento e dolore vengono nascosti, appaiono nei racconti quasi di sfuggita, mentre nel secondo la rappresentazione della morte e della sofferenza emerge intatta quasi con l’immediatezza di allora. Il secondo intervento, di Marcella H. Ravenna, era intitolato Vittime della Shoah e reazioni alla persecuzione, un’analisi psicosociale. La professoressa, docente di Psicologia Sociale all’Università di Ferrara, e responsabile scientifico dello PsySocial LAB presso la stessa università, oltre a numerosissime altre pubblicazioni sugli argomenti del convegno è autrice di “Carnefici e vittime. Le radici psicologiche della Shoah e delle atrocità sociali”, uscito per Il Mulino nel 2004, un testo dove analizza le cause della distruttività umana, in rapporto alle caratteristiche degli attori sociali ed a specifiche relazioni interpersonali e intergruppi e di “Odiare”, sempre per Il Mulino, in cui invece approfondisce i processi sociopsicologici che generano e alimentano l’odio, così come i diversi modi in cui esso si esprime nella vita sociale. Oggi, nella sua relazione, ha affrontato la questione della violenza esaminando il funzionamento umano delle vittime, durante la Shoah. Utilizzando un approccio induttivo su contributi letterari, memorialistici, storici, filosofici sociologici e psicodinamici, ha focalizza l’attenzione sui molteplici modi in cui gli ebrei dei diversi paesi hanno quotidianamente affrontato l’escalation della persecuzione. L’obiettivo sarebbe di contribuire a contrastare l’immagine stereotipata ed astratta di coloro che sono stati uccisi e che, nel discorso pubblico sulla Shoah, sono per lo più rappresentati come entità omogenee e deumanizzate. A seguire Marcello Flores, dell’Università di Siena, ha spiegato come a partire dalla fine della seconda guerra mondiale i modi per fare i conti con la violenza di massa commessa in occasione di quel conflitto e di quelli successivi hanno conosciuto uno sviluppo e una modificazione resa evidente soprattutto dagli anni Novanta in poi. Il ruolo della memoria negli anni si è fatto più presente, influenzando non soltanto l’opinione pubblica e i mass media, ma la stessa storiografia, con cui tuttavia è entrata in alcuni casi in conflitto. Nel pomeriggio si sarà la sessione conclusiva del convegno, dedicata al rapporto fra Musei, Memoria e storia, a cui parteciperanno Camillo Zadra, Provveditore del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, Guido Vaglio, Direttore del Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino e Federica Pezzoli, dell’Università degli Studi di Bologna

Ada Treves twitter@atrevesmoked

(10 maggio 2013)