Legge e consenso
Abbiamo appena finito di festeggiare Shavuot, festa del dono della Legge. Non è l’unico significato della festa, e forse neppure il più importante, ma vale la pena ricordare che esiste anche quello: è motivo di gioia per un popolo avere una legge scritta, consultabile e uguale per tutti. Certo, non è un concetto specificamente ebraico (anche se non so quanti altri popoli abbiano istituito un giorno apposta per festeggiare una costituzione o qualcosa di simile); l’idea che la legge sia uguale per tutti dovrebbe essere comune più o meno a tutti gli stati moderni, ma ogni tanto qualcuno pare dimenticarsene. Perché, per esempio, quando si difende un personaggio politico inquisito o condannato si cita come argomento a favore il suo sostegno popolare? Se fosse colpevole dovrebbe essere condannato anche se la stragrande maggioranza della popolazione fosse dalla sua parte, se fosse innocente la condanna sarebbe ingiusta anche se il suo partito alle elezioni non avesse ottenuto neppure un voto. Invece ogni tanto qualcuno sembra insinuare tra le righe l’idea che chi gode di ampio consenso sia al di sopra della legge. Non dico che questo strano corto circuito mentale avvenga sempre, ma a me pare gravissimo che avvenga anche solo una volta ogni tanto, anzi, mi pare già grave che non si faccia scrupolosamente attenzione a tenere il tema del sostegno popolare fuori da ogni discorso su colpevolezza o innocenza. Le manifestazioni, per esempio, da che mondo è mondo si fanno con lo scopo principale di dimostrare che si è in tanti; che senso ha farle in un contesto in cui essere tanti o pochi dovrebbe essere del tutto irrilevante? Non si dà l’impressione di voler dire: “Se siamo in così tanti dalla sua parte non lo potete condannare, innocente o colpevole che sia”? Così anche il significato apparentemente più banale e scontato di Shavuot tutto sommato non pare aver perso di attualità.
Anna Segre, insegnante
(17 maggio 2013)