Tea for Two – Il filo perduto che è tornato da me
Inizialmente i giovani ebrei italiani mi inquietavano assai: tutta colpa della vituperata pressione sociale. Più di un anno fa scrivevo una riflessione al vetriolo mai pubblicata, reduce da una festa che sembrava un acquario. Il Congresso straordinario di questo week-end è stata quasi una epifania (N.B: è universalmente riconosciuto che quando si scrive in treno la retorica la fa da padrone, quindi siate clementi se potete). Si sono susseguiti attimi di panico, inquietudini, depressioni andanti, frasi choc e giacche chic. Eppure avrei voluto abbracciare tutti, anche chi non conoscevo, anche chi faceva metafore ardite. Avrei voluto consolare ognuno degli ex consiglieri, presidente compresa, che hanno dato tutto quello che potevano. Per la prima volta gli ebrei italiani mi hanno suscitato un moto di affetto dirompente: che siano laici o religiosi, logorroici o un po’ machiavellici. Improvvisamente il filo perduto è tornato da me. Chi si butta in mille start-up, chi diventa paonazzo dalla rabbia mentre cerca di farsi capire, chi, come me, siede in un angolino ad osservare la scena indossando dei pantaloni che sembrano un pigiama. Sono vivi questi ebrei italiani e anche un po’ delusi, litigano ma con gli occhi si cercano. Più crescevano le divisioni più sentivo di far parte di qualcosa. Allora, dopo che il treno ha fischiato (che Pirandello mi perdoni), l’unica cosa che voglio è che l’Ugei non si dimentichi di nessuno di noi. Non diventi come tante istituzioni brillantinose e pericolosamente vuote. Non dimentichi di essere giovane nella connotazione positiva del termine. Eviti di travestirsi da politico o da politico in vacanza. Perché per quanto lei non ci creda poi tanto, l’Ugei è bella così come è: imperfetta e appassionata.
Rachel Silvera, studentessa
(20 maggio 2013)