Dossier – Giovani e identità

Si moltiplicano gli interventi a proposito della decisione approvata dal Congresso dell’Unione giovani ebrei d’Italia che con una mozione ha aperto le proprie attività a giovani non iscritti a una Comunità ebraica e in particolare ai figli di unioni interreligiose con un profondo interessamento nei confronti dell’ebraismo e precedenti esperienze nell’ambito di organizzazioni ebraiche e a coloro che si trovano in percorso di conversione (con parere del rav di riferimento).

Ugei – Un nuovo Consiglio per un nuovo corso

Un’occasione di confronto sofferto e dibattuto. Sessioni di lavoro lunghe e partecipate, con interventi di tanti, volti storici dell’Unione giovani ebrei d’Italia così come nuovi arrivati. Questo ha rappresentato il Congresso straordinario Ugei che si è svolto a Milano dal 17 al 19 maggio 2013 e da cui sono usciti, oltre ai nomi del nuovo Consiglio esecutivo, anche alcune decisioni estremamente significative per la vita dell’organizzazione. Con due mozioni, è stato infatti garantito il diritto di partecipazione alle attività a giovani non iscritti a una Comunità ebraica italiana: da una parte a coloro che si trovano in percorso di conversione (con consultazione del rabbino di riferimento), dall’altra ai figli di unioni interreligiose con un profondo interessamento nei confronti dell’ebraismo e precedenti esperienze nell’ambito di organizzazioni ebraiche. Una partecipazione che non costituisce appartenenza all’Ugei stessa con annesso diritto di voto, garantita da statuto solo a iscritti o iscrivibili a una Comunità e dimoranti in Italia, ma che rappresenta comunque una svolta importante. A testimoniarlo, l’acceso confronto che ha preceduto la decisione, e una votazione che ha comunque spaccato il consesso, con un numero di contrari particolarmente alto rispetto alle altre mozioni approvate nel corso del Congresso. Nelle discussioni, sono emerse diverse visioni e sfumature circa la natura dell’identità ebraica e della sua matrice, religiosa e culturale, nonché a proposito del ruolo dell’Ugei. In molti si sono chiesti se essa rappresenti l’organizzazione e lo strumento più idoneo per favorire la partecipazione alla vita ebraica di giovani non iscritti a una Comunità, altri hanno sottolineato l’importanza di mantenere un approccio più flessibile, legato alla storia e all’identità di ogni singola persona. Non è mancato infine chi ha messo in evidenza come l’Ugei si muova in un contesto di rapporti internazionali con altre organizzazione giovanili ebraiche con cui ha sviluppato profonde partnership che presentano regole di adesione diverse da quella previste nel proprio statuto. La decisione di stabilire nuove modalità di partecipazione agli eventi (a statuto invariato) è dunque da inserire nel quadro di questo dibattito. Un dibattito che prosegue in queste ore anche sui canali dei social network, tra gli ugeini, ma non soltanto. Il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, commentando la scelta del Congresso Ugei ha diffuso un messaggio auspicando “un sereno confronto con i ragazzi del nuovo direttivo per capire se vogliono darne attuazione” e mettendo in guardia contro il rischio di spaccatura dell’organizzazione, oltre a chiedere un chiarimento all’Assemblea rabbinica italiana.
Ma non sono stati soltanto questi i temi discussi dal Congresso, convocato in seguito alle dimissioni anticipate del Consiglio esecutivo 2013, guidato dal presidente Susanna Calimani, e composto da Sara Astrologo, Giorgia Campagnano, Gady Piazza, Fiammetta Rimini, Benedetto Sacerdoti, Alessandra Ortona, Raffaele Naim (questi ultimi tre dimessisi tra febbraio e i primi di marzo) e Moshe Polacco (dall’inizio dell’anno in Israele). Le tensioni e gli accadimenti che hanno portato alla scelta di rinunciare all’incarico, le difficoltà economiche e organizzative che si è trovata ad affrontare l’Ugei negli ultimi mesi, sono state ampiamente dibattute, sfociando anche in un formale auspicio, rivolto dal Congresso ai nuovi consiglieri, di sforzo e responsabilità nel portare avanti il proprio mandato fino al suo termine naturale, salvo gravi impedimenti. L’impegno dell’Ugei sul fronte politico e culturale ha ricevuto grande attenzione, attraverso una serie di mozioni rivolte ad affrontare problematiche quali la violenza contro le donne, il razzismo, la Memoria, il dialogo fra i popoli e il sostegno a Israele, ma anche con la creazione di una Commissione ad hoc che possa supportare il Consiglio nel realizzare attività in questo senso. Riflessioni anche sulle necessarie modifiche dello statuto da mettere all’ordine del giorno per il prossimo Congresso per rendere l’operatività dell’organizzazione più funzionale, sulle attività da portare avanti nelle Comunità, e in particolare nelle piccole Comunità, e per migliorare la comunicazione, interna ed esterna.
Infine forte è stata la richiesta al prossimo Consiglio perché si faccia carico di una maggiore presenza dell’Ugei per coinvolgere i giovani della Comunità ebraica romana, scarsamente presenti a questa come a molte delle ultime occasioni di incontro, sia attraverso la realizzazione di un evento, sia attraverso l’auspicio di convocare proprio a Roma il prossimo Congresso ordinario, che manca dalla Capitale dal 2005 (mozioni queste che hanno ricevuto largo consenso).
Eletto infine il nuovo Consiglio esecutivo 2013 (nell’immagine alcuni dei consiglieri), con 11 candidati per 9 posti: nell’ordine di preferenze ricevute ne fanno parte Margherita Hassan (Milano), Alessandra Ortona (Milano), Benedetto Sacerdoti (Padova), Michal Terracini (Milano), Yoel Hazan (Milano) Emanuele Boccia (Milano), Simone Bedarida (Firenze), Emanuele Gargiulo (Napoli), Filippo Tedeschi (Torino). Hanno ricevuto voti anche Joseph Hadjibay e Simone Foa (entrambi di Milano). Nei prossimi giorni il Consiglio si riunirà per eleggere il presidente e stabilire le cariche.

Rossella Tercatin
twitter @rtercatinmoked

(20 maggio 2013)

giovani…

La rivoluzionaria mozione, varata a maggioranza, dall’ultimo Congresso straordinario dell’Ugei, che riconosce il diritto di partecipazione alle attività a giovani non iscritti ad una Comunità ebraica e che non hanno i requisiti giuridici di ebraicità, suscita una serie di perplessità e interrogativi. Il paventato rischio della nostra scomparsa e della chiusura delle nostre istituzioni non può essere risolto con una apertura irriflessa o con delibere formali. Questa linea oltre a non essere conforme alla Tradizione ebraica, rischia di non fare neppure il bene di coloro che sono alla ricerca di una coerente e coscienziosa assunzione di identità ebraica. Si rischia di usare questi partecipanti per risolvere, e solo in parte, un problema demografico. Non sono convinto che si risolverebbe così anche il problema dell’assimilazione e della riassunzione di una identità forte. Il singolo, come l’aspirante al ghiùr, non può non essere consapevole di dover affrontare un percorso che sarà di studio, di applicazione, di assunzione di identità totale. Soltanto così entrerà nelle istituzioni comunitarie dalla porta principale, e si collocherà poi là dove si sentirà più consono alle sue esigenze e alla sua personalità, secondo la visione realistica della nostra Tradizione.
Si tratta pertanto di accompagnare anche psicologicamente – e non solo legalmente – il singolo e la collettività a integrarsi e a integrare, evitando che l’incontro dia adito a tensioni e malintesi. Perché chi entra entri con passo leggero, e chi accoglie accolga a braccia aperte e senza riserve. D’altro canto non si può, tuttavia, non riconoscere audacia e capacità a questo Congresso per essersi offerto come sede di un confronto su un tema sul quale urge una strategia condivisa su scala nazionale fra coloro che hanno competenza di decidere. E questi non possono essere solo i rabbini, ma la Comunità, intesa non come ente, ma come collettività, che dovrebbe sentire il dovere di entrare in relazione con questi candidati per studiare insieme percorsi di studio, di preparazione, di appoggio e di riconoscimento che renderebbero non solo più facile, ma anche più serio, più consapevole ogni singolo percorso di ghiùr.
La sfida ora, per il neoeletto Consiglio dell’Ugei, sarà quella di saper gestire con autorevolezza e senso di responsabilità questa decisione. Mi piacerebbe che questa capacità giovanile ritornasse soprattutto in quei momenti in cui si percepisce un appiattimento generale, di poche idee, di crisi delle comunità, mi piacerebbe nei confronti di queste ultime una qualche rivoluzione culturale giovanile. Vorrei vedere dei militanti che sanno osare, organizzare gruppi di lavoro e abbandonare un po’ il feticismo degli statuti, con le loro parole e le loro virgole, e dare più attenzione alle persone in carne ed ossa.
E soprattutto dei giovani che sappiano aprire porte di consapevolezza, di assunzione di responsabilità, di ricerca di un percorso comune che non penalizzi nessuna forma di identità ebraica. Nel tentativo forte, impegnativo, ma responsabile di mantenersi all’interno della tradizione ebraica nel senso più pieno e più inclusivo del termine. Nel tentativo, anche, di salvare il salvabile del nostro ebraismo italiano un po’ affievolito e in forte crisi di identità.

Roberto Della Rocca
, rabbino

(21 maggio 2013)

…Ugei

Shlomo Sand, professore di storia all’Università di Tel Aviv, nega ogni valore e identità all’ebreo secolare, e lui si dichiara infatti deebraizzato. In Israele c’è un po’ di trambusto. Per converso, i giovani dell’UGEI passano una mozione congressuale che apre formalmente le attività dell’Unione a coloro che ebrei non sono (e magari non sono neppure interessati a esserlo!). Una politica moderna e illuminata, ma anche un po’ ingenua e confusa. Ora la partita a tennis inizierà nel campo degli adulti e lo si poteva prevedere. Si spera solo che sia una partita tranquilla ed equilibrata. Si sa, l’arte diplomatica non è appannaggio del mondo giovanile, ma il mondo degli adulti a volte sa bene come peggiorare le cose. Affidiamoci alla middat ha-rachamim.

Dario Calimani, anglista

(21 maggio 2013)

Ho seguito dagli Stati Uniti – dove mi trovo per qualche giorno – il recente congresso dell’Ugei. E ho faticosamente cercato di stare dietro alle polemiche delle ultime ore, dai social network alla stampa ebraica. In sostanza, sul banco degli imputati si trova una mozione che consente la partecipazione ai figli di padre ebreo che siano attivi in ambito ebraico e ai giovani che si stanno convertendo all’ebraismo, previa consultazione del rabbino. Si tratta in effetti di due decisioni storiche che fanno “giurisprudenza”. Cerchiamo di vederne i lati positivi e quelli piu’ problematici.
In primo luogo va riconosciuto ai giovani ebrei italiani il grande merito di aver affrontato la questione a viso aperto, senza infingimenti o furbizie: la sopravvivenza della nostra comunità è a rischio e ognuno deve prendersi le proprie responsabilità, a partire da chi si occupa della vita ebraica di quelli che a breve dovrebbero costituire una famiglia. Secondariamente il dibattito – a quanto ho letto – ha messo in luce posizioni differenti ma, pur nel prevalere di una posizione sull’altra, non ha impedito di trovare un punto di compromesso: i non iscritti alle comunità non avranno il diritto di voto, ma solo quello di partecipare. Inoltre viene sancito un principio di civiltà: chiunque venga ammesso a un evento non può essere respinto successivamente. Si tratta di un minimo di umanità che talvolta viene dimenticata nelle nostre comunità, dove non sempre ci si accorge di avere a che fare con i sentimenti delle persone. Infine è stato introdotto un argomento fondamentale. Non ha senso riflettere sul futuro della nostra comunità senza confrontarsi con le comunità all’estero. L’intera discussione tra i giovani è stata accelerata dall’interazione con le organizzazioni ebraiche internazionali, generalmente più inclusive di quelle italiane.
Meno positivo è che si sia giunti alla votazione. Personalmente avevo auspicato che si potesse trovare un compromesso condiviso. Se questo non è stato possibile lo si deve certamente all’irrigidimento di entrambi gli “schieramenti”. Nulla vieta però di continuare a elaborare, a discutere, a riflettere in seno al nuovo Consiglio e coinvolgendo altre personalità, senza escludere i rabbini.
Ma e’ importante e positivo che i giovani (leader?) ebrei abbiano ribadito la loro autonomia su un tema così delicato, mostrando la strada agli adulti che negli ultimi anni hanno preferito fare finta di niente. Continuiamo a parlarci, con una consapevolezza: l’ultimo Congresso dell’Ugei è stato un passo in avanti.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
twitter @tobiazevi

(21 maggio 2013)

Daniele Nahum, consigliere della Comunità ebraica di Milano, già presidente Ugei dal 2007 al 2009, ha diffuso il seguente messaggio.

Cari tutti, vorrei sommessamente dire la mia sugli ultimi fatti e le ultime polemiche relative al mondo Ugei. Faccio una premessa, non ho partecipato al Congresso. Posso dire però di conoscere un pochino il mondo Ugei, anche perché sono stato all’interno di un Consiglio per cinque anni, tre dei quali da Presidente. Penso che si sia sbagliato a votare la famosa mozione sui “misti”. Almeno in questa maniera. Inoltre credo che il tema sia stato affrontato dai congressisti non con la dovuta accortezza. La mozione della discordia non si riferiva al fatto se dialogare con i musulmani, se dare la priorità agli eventi ludici rispetto alle iniziative culturali, se investire più risorse per iniziative relative a tematiche attinenti alla nostra cultura o invece investirle su tematiche legate all’integrazione delle minoranze in Italia. Questi esempi che ho menzionato, riguardano la sfera dell’indirizzo politico che il Congresso dà al Consiglio. Su queste questioni è sano dividersi e discutere animatamente. L’abbiamo fatto negli ultimi anni, sempre con grande rispetto. Questa mozione è particolare perché punta a modificare- in maniera legittima o meno- la natura stessa dell’organizzazione. Tocca delle regole fondamentali, delle questioni di fondo. Per carità, tutto è modificabile, ma sulle regole, che per una organizzazione come l’UGEI devono definire un perimetro dentro il quale devono stare tutte le sensibilità dell’ebraismo italiano, è opportuno un consenso più ampio. Su queste questioni sarebbe meglio non legiferare a colpi di maggioranze. Un congresso politicamente maturo, anziché votare una mozione del genere, avrebbe chiesto di aprire una commissione, affidando l’incarico a dei ragazzi esterni al Consiglio( rappresentanti delle diverse sensibilità dell’ebraismo italiano), con lo scopo di fare delle proposte su questo tema per cercare di trovare un terreno comune che vada bene a tutti. Dunque mi permetto di suggerire al nuovo Consiglio di nominare una Commissione che studi una proposta( o delle proposte) per superare questa impasse. Proposta/proposte che verranno discusse nel prossimo congresso ordinario.
Un caro saluto a tutti.

(21 maggio 2013)

Time out – Fratture

La scelta di presentare in tutta sorpresa una mozione che permette ai non ebrei di partecipare alle attività Ugei e la volontà di imporla a maggioranza, senza cercare un ulteriore e più ampio confronto sul tema, non rende troppo onore all’ebraismo giovanile italiano. Dovrebbero infatti, essere proprio i più giovani a smarcarsi da certe logiche, a differenziarsi dai più grandi, nel far vedere che si può dialogare anche su temi complessi. Purtroppo questo non è avvenuto e ora l’ebraismo giovanile ne pagherà le conseguenze in termini di unità e coesione. Perché è evidente, che l’intenzione di fare a meno dei criteri halachici per definire la legittimità di partecipazione dei facenti richiesta crea un’evidente frattura che non si è cercato nemmeno di evitare. Il rischio che si percepisce è che questa possa essere l’apertura di un vaso di Pandora il cui obiettivo appare quello di legittimare altre istanze, poco presenti nell’ebraismo italiano, ma che da tempo qualcuno punta a vedere riconosciute. Eppure, oltre le motivazioni, credo valga la pena entrare più nel merito della questione. Esiste una ragione per permettere anche a dei non ebrei, che non hanno nessuna voglia di convertirsi, di partecipare ad eventi per soli ebrei? Credo di no, e non perché, come qualcuno maliziosamente vuole far credere, abbia paura della presenza di persone non ebree. Ciascuno di noi, condivide amicizie, percorsi di vita con amici che non sono di religione ebraica, ma questo nulla c’entra. A non convincere, è innanzitutto la ratio che finisce per essere paradossalmente discriminatoria. Perché essere figli di padre ebreo significa acquisire un diritto ed essere nipote invece no? Siamo davvero sicuri che esista una cultura ebraica svincolata dalle regole religiose? E come la giudichiamo? Dai libri di Philip Roth o dai film di Woody Allen? La risposta non c’è, ed è per questo che la decisione presa non appare né saggia, né lungimirante. Nessuno chiede di chiudere le porte a chi intende avvicinarsi, ma gli eventi per giovani ebrei non possono essere degustazioni di vini, in cui uno passa, assaggia e se gli piace rimane. E se per esempio, qualcuno poi trovasse gradevoli le nostre cene e le nostre feste, pur non continuando ad avere voglia di convertirsi, volendo lo stesso continuare a frequentare, che facciamo lo cacciamo? E secondo quali criteri? A quanto pare, non è dato saperlo, ma basta questo per farmi pensare che la scelta sia stata poco ragionata e non cosciente delle conseguenze che potrà produrre. Non è quindi oscurantismo, né chiusura mentale, richiamare a regole chiare; non lo è tanto meno se queste sono quella della Torah che in fondo, piaccia o meno, ci hanno permesso di essere ancora qui oggi dopo millenni di torture e assimilazioni. Non mi pare poco, o quantomeno, non abbastanza per iniziare a cambiare proprio adesso.

Daniel Funaro

(23 maggio 2013)

…giovani

Per varie ragioni mi trovo a voler riprendere un dialogo con il mio amico Roberto Della Rocca che è intervenuto a proposito della discussa decisione assunta a maggioranza dal congresso straordinario UGEI relativamente all’ammissione alle attività a giovani che non sono iscritti a comunità ebraiche. Mi permetto di discutere alcune delle argomentazioni proposte perché ho comunque intravisto con piacere – e intendo riconoscerlo – un certo coraggio e una forte volontà di dialogo nelle sue posizioni e non penso che questa apertura debba essere lasciata cadere. Parto dalla fine, quando cioè si afferma che l’ebraismo italiano è “affievolito e in forte crisi d’identità”. Ho già a più riprese sostenuto su queste pagine che la realtà dei fatti non corrisponde a questa costante sensazione di crisi. L’ebraismo italiano è incommensurabilmente più vivo e attivo oggi di quanto non fosse 30 o 40 anni fa. Certo è cambiato, come è cambiata l’Italia, ma proprio in crisi non è: sa riorganizzarsi (nuova UCEI), sa attivare un numero di iniziative straordinariamente variegato e ricco, e i membri attivi sono di gran lunga più motivati e ebraicamente preparati di quanto non fossero le generazioni precedenti. Prendiamone atto una buona volta. Il secondo argomento riguarda l’idea che le strategie organizzative siano messe in atto per contrastare il declino demografico. Anche qui dovremmo essere chiari: una realtà demografica così piccola come l’ebraismo italiano non può essere in grado di “governare” i propri trend demografici. Questi dipendono da variabili che non hanno a che fare con l’identità, ma con più vasti processi sociali che sono fuori del controllo di una piccola comunità religiosa (nel caso dei giovani parliamo di interessi personali, occasioni lavorative, crisi economica, pecorsi di formazione ecc.). Non credo quindi sia sostenibile l’idea di addebitare la scelta dei giovani ebrei italiani a un desiderio di contrastare il declino demografico. Sarebbe una strada a mio parere perdente. Il terzo argomento è costituito dalla seguente affermazione: “Questa linea oltre a non essere conforme alla Tradizione ebraica, rischia di non fare neppure il bene di coloro che sono alla ricerca di una coerente e coscienziosa assunzione di identità ebraica”. In linea di massima potrei anche concordare, se la questione riguardasse il ghiùr (argomento su cui Roberto Della Rocca ha aperto importanti percorsi di confronto e formativi). Ma non mi sembra questo l’argomento in questione. Che io sappia la polemica fra i giovani si è aperta sull’opportunità o meno di invitare a feste, dibattiti, lezioni, cene e quant’altro anche ragazzi non iscritti a comunità ebraiche. Cioè, non mi sembra che la questione aperta riuguardi le conversioni (che sono fatti personali di cui non bisognerebbe trattare in sede pubblica, secondo la tradizione ebraica), ma le regole di organizzazione sociale che questi ragazzi si vogliono dare. L’UGEI è un organo dell’ebraismo italiano ed è preposto ad occuparsi dell’organizzazione di attività per favorire la formazione e la conoscenza dei giovani ebrei, ma – come anche le comunità ebraiche che accolgono in continuazione non iscritti alle loro attività – non è impermeabile alla realtà non ebraica. In conclusione, penso che la volontà di apertura e accoglienza che il congresso UGEI ha dimostrato debba essere riconosciuta come una buona opportunità offerta da chi è ben radicato in un’identità forte e cosciente, e non si sente minacciato dalla frequentazione con coetanei che vivono, per motivi personali o familiari, percorsi identitari più complessi e ancora in fase di maturazione.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(24 maggio 2013)

Senza se e senza ma?

Davvero fino a pochi giorni fa chiunque chiedesse di partecipare ad un’attività dell’UGEI doveva esibire materialmente il certificato di iscrizione a una Comunità ebraica per essere ammesso? Davvero fino a questo momento non ci sono mai stati casi in cui di fronte a un cognome ebraico questa iscrizione sia stata data per scontata senza ulteriori verifiche? Davvero fino a pochi giorni fa non ci sono mai state eccezioni, non ci sono mai state decisioni specifiche su persone singole? Se è così, l’UGEI di oggi è davvero molto diversa dalla FGEI e dagli altri gruppi giovanili ebraici dei miei tempi. In tal caso la mozione che rovescia da un giorno all’altro la chiusura in apertura sarebbe davvero rivoluzionaria. Tuttavia – forse perché rilevare le somiglianze tra il dibattito di questi giorni e quelli che ricordo (inizio anni ’90) mi fa sentire giovane – non riesco a liberarmi del dubbio che la mozione, più che rappresentare un’assoluta novità, sia semplicemente il tentativo (che a me pare sacrosanto) di stabilire criteri condivisi, ragionevoli e uguali per tutti dove prima si decideva caso per caso. Forse qualcuno pensa che criteri stabiliti una volta per tutte siano troppo rigidi e sia più utile discutere ogni situazione singolarmente; benissimo, ma allora sarebbe meglio parlare di questo più che confrontare modelli teorici astratti di apertura e chiusura totale. Nelle discussioni dei miei tempi mi dava molto fastidio che alcuni proclamassero a gran voce una chiusura senza se e senza ma che, in assenza di controlli rigorosi, finiva per dar luogo a ingiuste differenze di trattamento tra una persona e l’altra; e mi dava ancora più fastidio che la FGEI, per aver discusso apertamente di questioni che altri gruppi giovanili fingevano di ignorare (anche se in realtà riguardavano un po’ tutti), fosse stata accusata delle cose più incredibili, addirittura di aver scelto programmaticamente l’assimilazione. Il dibattito suscita in me, allora come oggi, un grande disagio, perché è troppo forte, oggi come allora, l’impressione che a qualcuno i ragazzi non iscritti alle Comunità facciano paura non perché siano portatori di cultura e valori diversi, ma, anzi, proprio perché a qualcuno secca dover ammettere che sono così uguali da essere di fatto irriconoscibili.

Anna Segre, insegnante

(24 maggio 2013)

Il Consiglio esecutivo dell’Unione giovani ebrei d’Italia ha emesso la seguente nota:

In risposta alle numerose richieste di chiarificazione rivolte al Consiglio, e a una nostra volontà comunque presente, abbiamo deciso di scrivere una nota interpretativa sulle due mozioni in questione. Innanzitutto va forse specificato che si tratta, appunto, di mozioni e non di modifiche statutarie: ciò implica che, per quanto possano essere portatrici di novità, non cambiano l’assetto giuridico costitutivo dell’Unione. Si tratta per l’appunto, nel caso di specie, di decisioni congressuali; il Consiglio perciò vi entra in relazione unicamente come organo esecutivo, e per la durata del suo mandato.
Spetta al Consiglio, in quanto organo esecutivo, attuare le mozioni approvate nel corso dei lavori congressuali. Dunque, anche in questo caso, in mancanza di una specifica previsione alternativa, spetta al Consiglio attuare le due mozioni.
Relativamente alla prima viene attribuita a persone che si trovino in un percorso di conversione la possibilità di partecipare agli eventi UGEI, previo consulto con il Rav di riferimento, per essere sicuri che questo percorso sia effettivamente attivo.
La seconda mozione invece riguarda nello specifico i figli di solo padre ebreo: verrà accordata loro la possibilità di partecipare nei casi in cui manifestino un reale interessamento nei confronti dell’ebraismo, confermato dalla partecipazione ad attività ed eventi comunitari (come feste ebraiche, partecipazione a movimenti giovanili, iscrizione in una scuola ebraica, partecipazione agli eventi di una delle organizzazioni ebraiche giovanili).
In entrambi i casi, coloro che beneficeranno delle mozioni in questione non avranno diritto di voto all’interno dei Congressi e non potranno assumere alcuna carica all’interno dell’organizzazione. Infatti, il diritto di voto attivo e passivo è concesso solo a coloro che siano iscritti all’UGEI, e requisito per essere iscritti all’UGEI è quello di essere iscrivibili ad una Comunità Ebraica italiana: la mozione in nessun modo intende ridefinire il concetto di ebraicità stabilito dall’Halachà, competenza esclusiva del Rabbinato.
Siamo convinti di aver interpretato al meglio l’effettiva volontà congressuale nel rispetto della delicatezza della questione.
Speriamo che possa crearsi e mantenersi un clima di dialogo e rispetto reciproco e ci auguriamo di vedervi tutti ai prossimi eventi.

Shabbat Shalom a tutti,

Il Consiglio Esecutivo 2013

(24 maggio 2013)

Ritrovare l’unità

Ho partecipato, una settimana fa, al congresso dell’Ugei che aveva lo scopo di eleggere il nuovo Consiglio.
Ma ho soprattutto partecipato a un caos totale, a una battaglia tra due fazioni, che hanno discusso a lungo a proposito dello status dei figli di matrimonio misto e della decisione se fargli partecipare o meno agli eventi dell’organizzazione.
Sono chiaramente cosciente della delicatezza del tema e del fatto che il dibattito sia senza fine poichè ogni fazione è convinta di aver ragione.
Ma, ciò che mi ha choccato e rattristato profondamente, ciò che mi ha toccato e mi ha ferito, è di aver visto persone spargere odio e paura con lo scopo di vincere e influenzare altre persone.
Alcuni sono arrivati al punto di mentire, deformare la verità e divulgare false informazioni dicendo che l’UGEI era arrivata al punto di aprire a tutti : ebrei e non, buddisti o musulmani, e che non era più un organizzazione giovanile ebraica.
Vi lascio immaginare le conseguenze di queste falsità. Si chiama «Lashon Hara», delle parole che portano con sé un giudizio e son capaci di distruggere una reputazione. In questo caso, stiamo parlando di una organizzazione di volontari che da anni si occupa di organizzare eventi e attività sociali e culturali per i giovani di tutte le comunità ebraiche d’Italia.
Queste persone, che hanno deformato la verità, sono le stesse che giustificano la loro opposizione con la Halacha e la Torah. Hanno capito il senso dei nostri comandamenti religiosi? Bisogna essere coerenti se si vuole essere fedeli alla Halacha.
La loro preoccupazione per il fatto che l’Ugei rispetti la Halacha è molto «accentuata».
Secondo questi, è responsabilità dell’organizzazione garantire dei partecipanti ebrei «puri».
Una di queste persone ha proposto di invitare i «non ebrei» alle conferenze e altri eventi culturali e di escluderli dagli eventi ludici e dalle serate alcoliche, con la scusa che quando si beve si perde il controllo e si rischierebbe di provarci con una persona non halachikamente ebrea.
Ancora una volta mi chiedo: non è la Torah, la religione o Moshe Rabbenu che ci insegna il controllo di noi stessi e la responsabilità ?
Bere dell’alcool fino a perdere il controllo è autorizzato solo a Purim (neanche)!
Molti hanno chiesto che la presenza di un ragazzo figlio di matrimonio misto sia formalmente approvata dai rabbini capi delle diverse comunità italiane con un documento firmato di certificazione. Anche se capisco le loro inquietudini bisogna essere realisti e comprendere la complessità del problema. Perchè, pensare che l’unico problema di un matrimonio ebraico (dato che è solo di ciò che si parla) sia questo, è come nascondersi dietro a un dito.
Cosa facciamo allora di una persona la cui nonna materna è ebrea ma è cresciuta come cattolica e che ogni domenica prega Gesù? Cosa facciamo degli ipocriti che hanno pagato all’estero un rabbino per una conversione a tempo da record? E cosa facciamo delle conversioni fatte in altre comunità non italiane? Una persona convertita da un rabbino chabad? Un ebreo statunitense? Dovremmo aprire un dossier per ognuno di questi casi?
E non mi sembra responsabilità di una organizzazione giovanile ebraica garantire l’ebraicità dei partecipanti soprattutto quando si parla di andare a bere qualcosa insieme, ma riguarda il rabbino nella preparazione per la houppa di assicurarsi che la persona da maritare desideri un focolaio ebraico nelle tradizioni e pratiche religiose che sia appena convertita o di nonna ebrea.
E visto che queste persone sembrano preoccuparsi solo di matrimonio vorrei anche ricordare le tante coppie entrambe ebree che alla fine si lasciano per una troppo grande differenza nelle pratiche religiose. Anche qui l’Ugei è responsabile? Magari dovremmo creare l’Ugeri (unione giovani ebrei religiosi d’Italia)? Non mi sembra una buona idea. La divisione tra ebrei non è mai stata positiva.
Si tratta realmente dunque di preservare la Torah e i suoi comandamenti? O piuttosto di pigrizia e di facilità? O della paura di affrontare la realtà? Perchè ammettiamolo: la possibilità di cascare su una persona non halachikamente ebrea durante una serata sociale e di innamorarsi follemente è veramente minima. A maggior ragione per il fatto che queste persone non sono poi così numerose e comunque interessate al riavvicinamento e a un percorso ebraico (sennò perchè venire all’Ugei?). Dovremmo dunque noi prendere veramente questo rischio in considerazione invece che prediligere la possibilità che una persona grazie all’aiuto sociale dell’Ugei si riavvicini alle sue origini?
L’Ugei, prima di essere una agenzia matrimoniale è una piattaforma che comprende le diverse sfaccettature dell’ebraismo italiano. E il suo ruolo resta lo stesso quando si tratta di accogliere una persona halachikamente ebrea ma con un passato cattolico e una persona che da sempre pratica l’ebraismo ma la cui madre non è ebrea.
Ovviamente è delicato. Ma è una problematica che ci riguarda tutti e che dobbiamo affrontare insieme.
Vorrei ricordare che il venerdì sera abbiamo assistito a un Devar Tora molto profondo di rav Arbib che parlava del momento in cui gli ebrei hanno ricevuto la Torah e che per paura l’han prima rifiutata.
Questo fu un momento di dubbio di rigetto di crisi nel popolo, ma ugualmente all’interno di ognuno. Poichè per la prima volta dovevano essere responsabili dell’accettazione di una coercizione, un ordine che non sembrava proprio un regalo. Il rav ha spiegato che la crisi era un momento difficile da passare ma che, una volta accettata, ci permetteva di porci nuove domande e di superare gli ostacoli. La soluzione non è di girarci o di respingere una situazione ma di affrontarla!
E il popolo ebraico è in un nuovo momento di crisi ovunque nel mondo. Siamo usciti da poco da guerre, dittature e immigrazioni. Siamo una nuova generazione di ebrei dalla multipla identità. Oggi, essere ebreo non è più solo celebrare le feste e mettere in pratica la 613 Mitzvoth. Ovviamente c’è la religione ma c’è anche la storia e la cultura. Ci sono coloro che han dovuto combattere il comunismo, coloro che han dovuto nascondere la propria identità, coloro che han voluto dimenticare dopo il trauma della Shoah. Queste persone hanno bisogno di tempo e del nostro aiuto per imparare e riavvicinarsi. Non possiamo chieder loro di convertirsi da un giorno all’altro. Non possiamo proprio perchè potremmo essere noi al loro posto perchè abbiamo tutti la stessa origine.
Vi prego non feriamoli di nuovo più di ciò che già sono perchè poi li perderemmo definitivamente. E a essere così chiusi ne perderemmo molti altri. Perderemmo noi stessi per disgusto e non ci riconosceremmo più. Siamo già così pochi e rigettati dalle altre nazioni. Non dobbiamo odiarci tra di noi. E aiutiamo coloro che hanno una Neshama ebraica ma che purtroppo non hanno avuto la nostra stessa fortuna.
Siamo il popolo del libro, il popolo che sa e che riflette. Il nostro compito è di preservare la nostra eredità millenaria e di non farla sparire. Abbiamo questa capacità perchè Dio ce l’ha data. Dobbiamo credere e avere fede senza paura. E’ solo attraverso l’unità che risolveremo questo problema che ci tocca a tutti.
Non travisiamo il messaggio che i nostri saggi ci hanno trasmesso e non nascondiamoci più dietro la facilità. Affrontiamo insieme il problema per essere di nuovo uno!

Johana Ohayon Lazarov

(27 maggio 2013)


Giovani – Assemblea rabbinica e Consulta: “Evitiamo assieme le vie arbitrarie”

Il Consiglio dell’Assemblea rabbinica italiana e la Consulta rabbinica hanno emesso la seguente nota congiunta:

Il Consiglio dell’Assemblea rabbinica italiana e la Consulta rabbinica esprimono preoccupazione per la mozione riguardante i criteri di ammissione alle attività dell’Unione dei giovani ebrei d’Italia approvata dall’ultimo congresso. Temiamo che una possibile decisione in tal senso da parte del nuovo consiglio, possa lasciare spazio a decisioni arbitrarie che, invece di rappresentare una via per aggregazione e inclusione, possa creare seri problemi. Questa mozione è particolarmente problematica soprattutto tenendo in considerazione la fascia di età dei partecipanti alla attività. La FGEI prima e l’UGEI dopo, hanno avuto il grande merito di essere il luogo in cui si sono formate molte famiglie ebraiche. Auspichiamo che l’UGEI continui ad avere questa importante funzione. Siamo a disposizione del nuovo consiglio, per affrontare insieme le questioni e le aspettative dei giovani ebrei italiani.

(30 maggio 2013)

Ugei – Alessandra Ortona il nuovo presidente

È la milanese Alessandra Ortona il nuovo presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia. La decisione è arrivata nel corso della prima riunione del nuovo Consiglio esecutivo 2013, uscito dal Congresso straordinario convocato a Milano nelle scorse settimane. Studentessa di architettura, 21 anni Ortona ha ottenuto il consenso di sei consiglieri su nove e ha ricevuto anche le cariche di responsabile politico e coordinatore Wing. Determinate anche il resto delle deleghe. Le vicepresidenze sono andate a Benedetto Sacerdoti (Padova, residente a Roma) e Michal Terracini (Milano), nominati anche, rispettivamente, coordinatore Roma, dell’organizzazione attività interne e responsabile sito (Sacerdoti) e responsabile eventi (Terracini). La tesoreria è stata assegnata a Emanuel Gargiulo (Napoli, residente a Parigi). Responsabile della comunicazione e coordinatore su Milano sarà Margherita Hassan (Milano), mentre a occuparsi del giornale Hatikwa e della cultura sarà Joel Hazan (Milano). L’area piccole Comunità e gruppi locali è stata attribuita a Simone Bedarida (Firenze) e Filippo Tedeschi (Torino), responsabile, quest’ultimo anche del dialogo interreligioso. Emanuele Boccia (Milano, residente a Manchester) si occuperà di gestire i rapporti internazionali e l’ufficio stampa. Da segnalare, nel corso della riunione, che si è svolta attraverso un sistema di video-conferenza, la partecipazione di un consistente numero di uditori (nell’immagine alcuni dei consiglieri).

(30 maggio 2013)

Senza i giovani non c’è progetto

Le nuove generazioni offrono ideali, mettono in campo interrogativi. E chiedono chiarezza, vogliono crescita, lavoro. Solo banalità? Per nulla, se si osserva la società in cui viviamo, flagellata da un tasso di natalità fra i più bassi nel mondo occidentale, da una crisi economica apparentemente inarrestabile e da una decrescita del mercato del lavoro preoccupante. Ma investire sui giovani non significa solo respingere gli egoismi e combattere la crisi. Significa anche raccogliere nuove domande. Trovare assieme l’energia per individuare risposte condivise fra le generazioni. I giovani non hanno bisogno di assistenzialismi, e men che meno di retorica, ma di una mano tesa, di ascolto, della dimostrazione che è possibile fare progetti assieme. Lo dimostrano molti spunti contenuti nel dossier di questo numero, dedicato ai grandi temi e ai grandi problemi dell’economia, dei mercati finanziari e del mercato del lavoro. Temi questi cui la redazione ha in programma di dedicare un seminario a Firenze nel mese di giugno. Ma lo dimostra anche il recente e lacerante dibattito scaturito in seno all’Unione dei giovani ebrei d’Italia sulle tematiche identitarie. Non c’è bisogno di condividere le opinioni emerse nei loro dibattiti per comprendere che i giovani ci donano un’occasione straordinaria: quella di interrogarci su chi siamo e su dove vogliamo andare. Quella di parlare dei problemi reali senza nasconderci dietro le mistificazioni. E quella di guardare assieme, se ne saremo capaci, verso lo stesso orizzonte.

Pagine Ebraiche, giugno 2013

(30 maggio 2013)