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La rivoluzionaria mozione, varata a maggioranza, dall’ultimo Congresso straordinario dell’Ugei, che riconosce il diritto di partecipazione alle attività a giovani non iscritti ad una Comunità ebraica e che non hanno i requisiti giuridici di ebraicità, suscita una serie di perplessità e interrogativi. Il paventato rischio della nostra scomparsa e della chiusura delle nostre istituzioni non può essere risolto con una apertura irriflessa o con delibere formali. Questa linea oltre a non essere conforme alla Tradizione ebraica, rischia di non fare neppure il bene di coloro che sono alla ricerca di una coerente e coscienziosa assunzione di identità ebraica. Si rischia di usare questi partecipanti per risolvere, e solo in parte, un problema demografico. Non sono convinto che si risolverebbe così anche il problema dell’assimilazione e della riassunzione di una identità forte. Il singolo, come l’aspirante al ghiùr, non può non essere consapevole di dover affrontare un percorso che sarà di studio, di applicazione, di assunzione di identità totale. Soltanto così entrerà nelle istituzioni comunitarie dalla porta principale, e si collocherà poi là dove si sentirà più consono alle sue esigenze e alla sua personalità, secondo la visione realistica della nostra Tradizione.
Si tratta pertanto di accompagnare anche psicologicamente – e non solo legalmente – il singolo e la collettività a integrarsi e a integrare, evitando che l’incontro dia adito a tensioni e malintesi. Perché chi entra entri con passo leggero, e chi accoglie accolga a braccia aperte e senza riserve. D’altro canto non si può, tuttavia, non riconoscere audacia e capacità a questo Congresso per essersi offerto come sede di un confronto su un tema sul quale urge una strategia condivisa su scala nazionale fra coloro che hanno competenza di decidere. E questi non possono essere solo i rabbini, ma la Comunità, intesa non come ente, ma come collettività, che dovrebbe sentire il dovere di entrare in relazione con questi candidati per studiare insieme percorsi di studio, di preparazione, di appoggio e di riconoscimento che renderebbero non solo più facile, ma anche più serio, più consapevole ogni singolo percorso di ghiùr.
La sfida ora, per il neoeletto Consiglio dell’Ugei, sarà quella di saper gestire con autorevolezza e senso di responsabilità questa decisione. Mi piacerebbe che questa capacità giovanile ritornasse soprattutto in quei momenti in cui si percepisce un appiattimento generale, di poche idee, di crisi delle comunità, mi piacerebbe nei confronti di queste ultime una qualche rivoluzione culturale giovanile. Vorrei vedere dei militanti che sanno osare, organizzare gruppi di lavoro e abbandonare un po’ il feticismo degli statuti, con le loro parole e le loro virgole, e dare più attenzione alle persone in carne ed ossa.
E soprattutto dei giovani che sappiano aprire porte di consapevolezza, di assunzione di responsabilità, di ricerca di un percorso comune che non penalizzi nessuna forma di identità ebraica. Nel tentativo forte, impegnativo, ma responsabile di mantenersi all’interno della tradizione ebraica nel senso più pieno e più inclusivo del termine. Nel tentativo, anche, di salvare il salvabile del nostro ebraismo italiano un po’ affievolito e in forte crisi di identità.
Roberto Della Rocca, rabbino
(21 maggio 2013)