Senza se e senza ma?

Davvero fino a pochi giorni fa chiunque chiedesse di partecipare ad un’attività dell’UGEI doveva esibire materialmente il certificato di iscrizione a una Comunità ebraica per essere ammesso? Davvero fino a questo momento non ci sono mai stati casi in cui di fronte a un cognome ebraico questa iscrizione sia stata data per scontata senza ulteriori verifiche? Davvero fino a pochi giorni fa non ci sono mai state eccezioni, non ci sono mai state decisioni specifiche su persone singole? Se è così, l’UGEI di oggi è davvero molto diversa dalla FGEI e dagli altri gruppi giovanili ebraici dei miei tempi. In tal caso la mozione che rovescia da un giorno all’altro la chiusura in apertura sarebbe davvero rivoluzionaria. Tuttavia – forse perché rilevare le somiglianze tra il dibattito di questi giorni e quelli che ricordo (inizio anni ’90) mi fa sentire giovane – non riesco a liberarmi del dubbio che la mozione, più che rappresentare un’assoluta novità, sia semplicemente il tentativo (che a me pare sacrosanto) di stabilire criteri condivisi, ragionevoli e uguali per tutti dove prima si decideva caso per caso. Forse qualcuno pensa che criteri stabiliti una volta per tutte siano troppo rigidi e sia più utile discutere ogni situazione singolarmente; benissimo, ma allora sarebbe meglio parlare di questo più che confrontare modelli teorici astratti di apertura e chiusura totale. Nelle discussioni dei miei tempi mi dava molto fastidio che alcuni proclamassero a gran voce una chiusura senza se e senza ma che, in assenza di controlli rigorosi, finiva per dar luogo a ingiuste differenze di trattamento tra una persona e l’altra; e mi dava ancora più fastidio che la FGEI, per aver discusso apertamente di questioni che altri gruppi giovanili fingevano di ignorare (anche se in realtà riguardavano un po’ tutti), fosse stata accusata delle cose più incredibili, addirittura di aver scelto programmaticamente l’assimilazione. Il dibattito suscita in me, allora come oggi, un grande disagio, perché è troppo forte, oggi come allora, l’impressione che a qualcuno i ragazzi non iscritti alle Comunità facciano paura non perché siano portatori di cultura e valori diversi, ma, anzi, proprio perché a qualcuno secca dover ammettere che sono così uguali da essere di fatto irriconoscibili.

Anna Segre, insegnante

(24 maggio 2013)