Ritrovare l’unità
Ho partecipato, una settimana fa, al congresso dell’Ugei che aveva lo scopo di eleggere il nuovo Consiglio.
Ma ho soprattutto partecipato a un caos totale, a una battaglia tra due fazioni, che hanno discusso a lungo a proposito dello status dei figli di matrimonio misto e della decisione se fargli partecipare o meno agli eventi dell’organizzazione.
Sono chiaramente cosciente della delicatezza del tema e del fatto che il dibattito sia senza fine poichè ogni fazione è convinta di aver ragione.
Ma, ciò che mi ha choccato e rattristato profondamente, ciò che mi ha toccato e mi ha ferito, è di aver visto persone spargere odio e paura con lo scopo di vincere e influenzare altre persone.
Alcuni sono arrivati al punto di mentire, deformare la verità e divulgare false informazioni dicendo che l’UGEI era arrivata al punto di aprire a tutti : ebrei e non, buddisti o musulmani, e che non era più un organizzazione giovanile ebraica.
Vi lascio immaginare le conseguenze di queste falsità. Si chiama «Lashon Hara», delle parole che portano con sé un giudizio e son capaci di distruggere una reputazione. In questo caso, stiamo parlando di una organizzazione di volontari che da anni si occupa di organizzare eventi e attività sociali e culturali per i giovani di tutte le comunità ebraiche d’Italia.
Queste persone, che hanno deformato la verità, sono le stesse che giustificano la loro opposizione con la Halacha e la Torah. Hanno capito il senso dei nostri comandamenti religiosi? Bisogna essere coerenti se si vuole essere fedeli alla Halacha.
La loro preoccupazione per il fatto che l’Ugei rispetti la Halacha è molto «accentuata».
Secondo questi, è responsabilità dell’organizzazione garantire dei partecipanti ebrei «puri».
Una di queste persone ha proposto di invitare i «non ebrei» alle conferenze e altri eventi culturali e di escluderli dagli eventi ludici e dalle serate alcoliche, con la scusa che quando si beve si perde il controllo e si rischierebbe di provarci con una persona non halachikamente ebrea.
Ancora una volta mi chiedo: non è la Torah, la religione o Moshe Rabbenu che ci insegna il controllo di noi stessi e la responsabilità ?
Bere dell’alcool fino a perdere il controllo è autorizzato solo a Purim (neanche)!
Molti hanno chiesto che la presenza di un ragazzo figlio di matrimonio misto sia formalmente approvata dai rabbini capi delle diverse comunità italiane con un documento firmato di certificazione. Anche se capisco le loro inquietudini bisogna essere realisti e comprendere la complessità del problema. Perchè, pensare che l’unico problema di un matrimonio ebraico (dato che è solo di ciò che si parla) sia questo, è come nascondersi dietro a un dito.
Cosa facciamo allora di una persona la cui nonna materna è ebrea ma è cresciuta come cattolica e che ogni domenica prega Gesù? Cosa facciamo degli ipocriti che hanno pagato all’estero un rabbino per una conversione a tempo da record? E cosa facciamo delle conversioni fatte in altre comunità non italiane? Una persona convertita da un rabbino chabad? Un ebreo statunitense? Dovremmo aprire un dossier per ognuno di questi casi?
E non mi sembra responsabilità di una organizzazione giovanile ebraica garantire l’ebraicità dei partecipanti soprattutto quando si parla di andare a bere qualcosa insieme, ma riguarda il rabbino nella preparazione per la houppa di assicurarsi che la persona da maritare desideri un focolaio ebraico nelle tradizioni e pratiche religiose che sia appena convertita o di nonna ebrea.
E visto che queste persone sembrano preoccuparsi solo di matrimonio vorrei anche ricordare le tante coppie entrambe ebree che alla fine si lasciano per una troppo grande differenza nelle pratiche religiose. Anche qui l’Ugei è responsabile? Magari dovremmo creare l’Ugeri (unione giovani ebrei religiosi d’Italia)? Non mi sembra una buona idea. La divisione tra ebrei non è mai stata positiva.
Si tratta realmente dunque di preservare la Torah e i suoi comandamenti? O piuttosto di pigrizia e di facilità? O della paura di affrontare la realtà? Perchè ammettiamolo: la possibilità di cascare su una persona non halachikamente ebrea durante una serata sociale e di innamorarsi follemente è veramente minima. A maggior ragione per il fatto che queste persone non sono poi così numerose e comunque interessate al riavvicinamento e a un percorso ebraico (sennò perchè venire all’Ugei?). Dovremmo dunque noi prendere veramente questo rischio in considerazione invece che prediligere la possibilità che una persona grazie all’aiuto sociale dell’Ugei si riavvicini alle sue origini?
L’Ugei, prima di essere una agenzia matrimoniale è una piattaforma che comprende le diverse sfaccettature dell’ebraismo italiano. E il suo ruolo resta lo stesso quando si tratta di accogliere una persona halachikamente ebrea ma con un passato cattolico e una persona che da sempre pratica l’ebraismo ma la cui madre non è ebrea.
Ovviamente è delicato. Ma è una problematica che ci riguarda tutti e che dobbiamo affrontare insieme.
Vorrei ricordare che il venerdì sera abbiamo assistito a un Devar Tora molto profondo di rav Arbib che parlava del momento in cui gli ebrei hanno ricevuto la Torah e che per paura l’han prima rifiutata.
Questo fu un momento di dubbio di rigetto di crisi nel popolo, ma ugualmente all’interno di ognuno. Poichè per la prima volta dovevano essere responsabili dell’accettazione di una coercizione, un ordine che non sembrava proprio un regalo. Il rav ha spiegato che la crisi era un momento difficile da passare ma che, una volta accettata, ci permetteva di porci nuove domande e di superare gli ostacoli. La soluzione non è di girarci o di respingere una situazione ma di affrontarla!
E il popolo ebraico è in un nuovo momento di crisi ovunque nel mondo. Siamo usciti da poco da guerre, dittature e immigrazioni. Siamo una nuova generazione di ebrei dalla multipla identità. Oggi, essere ebreo non è più solo celebrare le feste e mettere in pratica la 613 Mitzvoth. Ovviamente c’è la religione ma c’è anche la storia e la cultura. Ci sono coloro che han dovuto combattere il comunismo, coloro che han dovuto nascondere la propria identità, coloro che han voluto dimenticare dopo il trauma della Shoah. Queste persone hanno bisogno di tempo e del nostro aiuto per imparare e riavvicinarsi. Non possiamo chieder loro di convertirsi da un giorno all’altro. Non possiamo proprio perchè potremmo essere noi al loro posto perchè abbiamo tutti la stessa origine.
Vi prego non feriamoli di nuovo più di ciò che già sono perchè poi li perderemmo definitivamente. E a essere così chiusi ne perderemmo molti altri. Perderemmo noi stessi per disgusto e non ci riconosceremmo più. Siamo già così pochi e rigettati dalle altre nazioni. Non dobbiamo odiarci tra di noi. E aiutiamo coloro che hanno una Neshama ebraica ma che purtroppo non hanno avuto la nostra stessa fortuna.
Siamo il popolo del libro, il popolo che sa e che riflette. Il nostro compito è di preservare la nostra eredità millenaria e di non farla sparire. Abbiamo questa capacità perchè Dio ce l’ha data. Dobbiamo credere e avere fede senza paura. E’ solo attraverso l’unità che risolveremo questo problema che ci tocca a tutti.
Non travisiamo il messaggio che i nostri saggi ci hanno trasmesso e non nascondiamoci più dietro la facilità. Affrontiamo insieme il problema per essere di nuovo uno!
Johana Ohayon Lazarov
(27 maggio 2013)