Budapest, la grande voglia di futuro
Gli iscritti della più importante comunità ebraica ungherese intervengono a poche settimane dal World Jewish Congress dedicato ai temi del razzismo, dell’antisemitismo e della xenofobia. Il loro appello? “Torniamo a raccontare l’ebraismo vivo. La Comunità ebraica di Budapest lo merita”.
La notizia delle proteste contro lo svolgimento del Congresso ebraico mondiale a Budapest, dove era stato convocato proprio per sensibilizzare il mondo sulla crescita dell’antisemitismo in Ungheria, ha fatto nelle scorse settimane il giro d’Europa e del mondo. Sono mesi, anni che il paese finisce sulle pagine dei giornali per le dichiarazioni antisemite dei suoi leader politici, nonché per una serie di riforme che hanno trasformato il sistema di governo in senso sempre più autoritario. Dalle modifiche della costituzione che intaccano l’indipendenza della magistratura a un meccanismo che garantisce al partito vincitore delle elezioni una maggioranza abnorme sono tanti i segnali negativi, conditi da una retorica populista dei governanti, compreso il primo ministro Viktor Orban. Il leader di Fidesz, la formazione di destra che guida il paese, in occasione del World Jewish Congress, ha tenuto un discorso nell’intento di respingere le accuse, sottolineando l’importanza della lotta contro l’antisemitismo e la sua amicizia nei confronti della comunità ebraica, senza tuttavia convincere la platea. “Orban ha perso una grande occasione” ha sottolineato il presidente WJC Ronald Lauder, in una considerazione che hanno poi confermato anche i delegati italiani presenti, il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach e i consiglieri UCEI Cobi Benatoff ed Eva Ruth Palmieri (invitato anche il presidente della Comunità ebraica di Roma e consigliere UCEI Riccardo Pacifici). Proprio a Budapest Pagine Ebraiche era stata in visita nella primavera 2012. Ne era emerso il ritratto di un ebraismo sì preoccupato per il futuro a causa della situazione politica e dell’antisemitismo, ma soprattutto per il forte deficit di partecipazione, dopo lo straordinario momento di rinascita negli anni ‘90 in seguito alla caduta del comunismo. Preoccupazioni cui si sommavano ovviamente le inquietudini legate alla crisi economica e al generale aumento dell’intolleranza verso le minoranze nel paese, gli ebrei, ma soprattutto i popoli rom, costantemente vittima di violenze e soprusi. A un anno di distanza, Pagine ebraiche è tornata a sentire alcuni degli intervistati, per registrare la loro percezione di quanto accaduto. “Penso che la presenza del Congresso ebraico mondiale e la sua copertura da parte dei media abbia aiutato a mettere in luce il problema dell’antisemitismo in Ungheria – commenta il sociologo Janos Gado – Allo stesso tempo però, i nazionalisti hanno avuto l’impressione e il pretesto per accusare gli ebrei di venire a dire agli ungheresi cosa devono e non devono fare, e questo ha creato forti tensioni”. Sulla situazione politica generale, Gado spiega: “Orban sta sicuramente ridimensionando la democrazia, ritengo però che il suo ideale di governo non sia una dittatura, ma una repubblica simile a quella francese verso gli anni ‘60 – sottolinea – Lui e il suo governo non sono antisemiti, quanto piuttosto ossessionati con il loro concetto di libertà e di lotta contro i nemici, le banche, Bruxelles, gli investitori stranieri… E’ facile leggere tutto questo come una campagna contro gli ebrei, ed è esattamente quello che l’estrema destra fa”. Del parere che l’Ungheria non sia comunque assimilabile a una dittatura è anche un altro sociologo, Andras Kovacs, professore alla Central European University di Budapest .”Rimaniamo uno Stato dell’Unione europea” dice, ridimensionando anche la portata delle manifestazioni antisemite alla vigilia del Congresso “Poche centinaia di persone, in una città in cui ne viv o – no due milioni. Piuttosto trovo importante che Orban sia intervenuto ai lavori, condannando l’antisemitismo. Questi gesti, per quanto possano essere dettati da convenienze politiche, rimangono comunque impressi nella mente del pubblico. E, se in un secondo momento vengono contraddetti, il pubblico potrà comunque chiederne conto”. Per Kovacs, importante è stata la presenza del World Jewish Congress soprattutto per un altro aspetto, quello di ricordare la vita e la cultura ebraica d’Ungheria oltre l’antisemitismo. Sullo stesso tema pone l’accento anche Zsuzsa Fritz, direttrice della Balint House, il Jewish Community Center di Budapest finanziato dall’americano Joint.”Il continuo presentare il popolo ebraico come vittima dell’odio non costituisce una strategia efficace per combattere l’antisemitismo. Ci vogliono attività educative, il raccontare l’ebraismo vivo, pieno. Il nostro dramma più grande è quello della fuga dalla partecipazione alla vita comunitaria. E se continuiamo a parlare solo sull’odio contro di noi, come potrebbe essere diverso?”. Per questo Zsuzsa si mostra critica nei confronti della scelta di portare a Budapest il Congresso “Apprezzo le intenzioni. Ma trovo che abbia rappresentato solo un ulteriore rafforzamento della percezione negativa dell’ebraismo, oltre a legittimare una classe dirigente ebraica ungherese, quella di Mazsihisz (la Federazione delle comunità ebraiche ungheresi ndr), che si mostra sempre più inadeguata”. A confermare le sue accuse contro Mazsihisz sono arrivate, all’indomani del Congresso, le dimissioni del suo leader Peter Feldmajer, dopo che 49 degli 89 rappresentanti delle organizzazioni ebraiche hanno votato contro la fiducia nella sua leadership. “In Ungheria c’è tanta vita ebraica, colorata, positiva, di cui si parla poco – conclude Zsuzsa – È da lì che dobbiamo ripartire”.
Rossella Tercatin (Pagine Ebraiche giugno 2013)