Festa sfasata
Torte, pasticcini, bibite, allegria, poi il conto alla rovescia, gli ultimi dieci secondi ed ecco il boato: l’anno scolastico è finito. Nel caos di tutti quelli che si accalcano verso l’uscita, si salutano e si augurano “buone vacanze” noi insegnanti continuiamo a correre smarriti da una parte all’altra, quasi insensibili al suono liberatorio della campanella finale, intenti a scrivere relazioni, compilare moduli sulle attività svolte, calcolare medie, mettere tutto in ordine, inseguire i rappresentanti di classe per far firmare loro i programmi svolti, verificare che nessuna verifica sia andata smarrita (sarebbe una sciagura di proporzioni bibliche, con conseguenze forse non del tutto chiare ma comunque devastanti: nella nostra immaginazione ci figuriamo grandine, invasioni di cavallette, l’acqua del Po che si trasforma in sangue, ecc.). La gioia degli studenti in parte ci contagia e in parte ci irrita, ci circonda ma non ci appartiene: per noi la scuola non è finita, ci sono gli scrutini, i corsi di recupero, gli esami di stato. Tutto sommato, però, possiamo guardare alla festa dei ragazzi con indulgenza e simpatia perché sappiamo che presto l’inizio delle vacanze verrà anche per noi. L’ultimo giorno degli esami di stato per gli insegnanti è quasi sempre gioioso: si ride e si scherza, si mangiano torte e pasticcini, spesso si pranza allegramente tutti insieme. Poi arriva il momento del rituale solenne, un po’ arcaico e un po’ magico: si chiudono i pacchi, si legano e si sigillano con la ceralacca. Un momento delizioso, di cui gli studenti probabilmente ignorano l’esistenza.
In fondo noi insegnanti in questo periodo dell’anno siamo un po’ come gli ebrei durante le feste natalizie: una minoranza che si lascia contagiare solo in parte dalla gioia comune e che viene erroneamente ritenuta poco incline al divertimento, mentre in realtà segue ritmi propri e ha le proprie feste, magari più solenni e discrete ma certo non meno gioiose.
Anna Segre, insegnante
(14 giugno 2013)