I giovani e l’assimilazione

Ho partecipato al Congresso UGEI di Padova del 2011 e anche allora si era cercato di far passare una mozione simile. Ritengo però che in tutta questa discussione su questo argomento non si abbia il coraggio di chiamare le cose col loro nome e andare al centro della questione. L’UCEI stessa non può, credo, far finta di nulla e continuare a dare finanziamenti e offrire le proprie strutture comunitarie a una associazione che con questo ultimo Congresso si è posta ufficialmente fuori dall’ortodossia. In fondo la questione centrale è proprio questa per quanto non sia mai stata esplicitata sino in fondo: ortodossia o riformismo (in variante conservative). L’ ebraismo italiano fino ad oggi ha potuto mantenere la sua unità’, indispensabile data l’esiguità demografica, grazie a un tacito compromesso basato sulla collocazione in seno all’ortodossia delle istituzioni comunitarie e del rabbinato, pur avendo una “base” ideologicamente a maggioranza masortí (conservative, tradizionalista). Ciò ha permesso sino ad oggi di rimanere uniti e di vedere riconosciuta l’ebraicità degli iscritti alle nostre Comunità a livello internazionale. Al giorno d’oggi infatti questo aspetto non può essere messo da parte facilmente con un miope provincialismo. Se vogliamo infatti che i nostri iscritti alle Comunità, qualora facciano alya, possano sposarsi in Israele, dobbiamo mantenere l’ebraismo italiano in seno all’ ortodossia, e una UCEI che abbia al suo interno un movimento giovanile riformato non potrebbe continuare essa stessa a definirsi ortodossa salvo dichiarare l’UGEI non riconducibile in nesuna maniera a se stessa. Mi domando infatti se si faccia finta di non sapere che agli eventi Ugei, sopratutto alla Wing o ad altri eventi simili, i ragazzi spesso conoscano ragazze e da questo possano nascere coppie. Il rischio che si corre nell’ammettere goyim alle attività giovanili è quello di peggiorare lo stato attuale dell’ assimilazione presente sopratutto nelle medie e piccole Comunità. Non si tratta dunque di timore dell’altro, ma di tutela dela nostra identità. Identità, appunto, parola troppo spesso usata forse senza intenderne il reale significato. Un’ identità forte e cosciente, per usare le parole di Gadi Luzzato Voghera, è un’identità basata sulla Torah, sulla shemirat mitzvot e sullo studio del Talmud. Credo invece che sia errato legare l’identità ebraica a un fatto di cognome, quasi si trattasse di una questione razziale o di una supposta “cultura ebraica” facente capo ad autori ebrei sì, ma che di ebraico nel loro pensiero hanno trasmesso nulla o poco e non, come invece è, a un fatto nazional-religioso. Consolarsi poi dicendo che “l’ebraismo italiano è incommensurabilmente più vivo e attivo oggi di quanto non fosse 30 o 40 anni fa” (l’amico Gadi spero voglia perdonarmi questo disaccordo tra padovani), per quanto sia un fatto vero dimentica di dire che l’ ebraismo italiano attuale è internazionalmente insignificante, mentre in passato è stato centro propulsore editoriale (Venezia, Soncino etc) e di pensiero (Sforno, Bertinoro, Ramchal et alia); in passato si è arrivati al punto che il Gaon di Vilna disse che se fosse stato vivo ai tempi del Ramchal sarebbe andato a piedi (dalla Lituania!) fino a Padova per conoscerlo. Un’ebraismo vivo non è un ebraismo che organizza molte visite guidate a bellissime sinagoghe vuote di fedeli, ma un ebraismo con sinagoghe, con tre minianim al giorno e sopratutto dove lo studio del Talmud sia al centro dell’attività comunitaria. L’Inquisizione sapeva molto bene che qualsiasi Comunità ebraica dove non si studiasse il Talmud non aveva la benché minima probabilita’ di sopravvivenza. In Italia da quando sono state chiuse le yeshivot padovane nella prima metà dell’Ottocento si è camminato verso una inesorabile perdita della conoscenza talmudica. Oggi purtroppo siamo al punto in cui si finanziano progetti di ogni genere, ma di yeshivot in Italia non vi e’ nemmeno l’ombra (salvo per due Yeshivot Lubavitch, ma di italiano nulla). Identità appunto manca, e chi la cerca deve, come ha fatto il sottoscritto, fare alya e studiare in yeshiva in Israele perdendo poco a poco il proprio ebraismo italiano. La scelta dell’ ultimo Congresso Ugei non fa altro che peggiorare la situazione drammatica dell’ ebraismo italiano e crea una rottura difficilmente sanabile facendo dell’Ugei un’associazione non più ebraica. A tal proposito vorrei ricordare che la lashon harah fa riferimento alla verità, mentre il diffondere notizie false si chiama motzi shem rah e dunque chi dice che affermare che l’Ugei è un’associazione non ebraica è fare lashon ha rah riconosce che si tratta di verita’. Discutibile però che dal punto di vista halachiko esistano i presupposti per proibire la lashon harah in questo caso. Infatti, dato l’obbligo di avvisare il proprio fratello ebreo riguardo al non porsi in situazioni pericolose, vi è anzi un obbligo halachiko a fare lashon harah sull’Ugei e dire la verità: l’ Ugei, con questo ultimo Congresso, è diventato un gruppo non ebraico (il fatto che i suoi membri siano ebrei non lo rende automaticamente ebraico) che facilita l’assimilazione e la formazione di coppie miste. Speriamo che l’ Ucei ne prenda le dovute distanze e che il rabbinato si esprima rapidamente e senza esitazioni contro queste tendenze riformiste che stanno ultimamente prendendo diritto di parola all’interno dei nostri dibattiti.

Maximiliano Leonardo Di Lorenzo (Yehuda Padova)

(18 giugno 2013)