Le sfumature dell’identità diasporica
Il romanzo di Eva Hoffman “Lost in Translation. A life in a new language”, uscito nel 1989 in inglese e tradotto in Italia col titolo (inadeguato) “Come si dice”, è una delle opere di narrativa autobiografica che meglio descrivono le sfumature dell’identità diasporica.
Alla fine degli anni Cinquanta, gli ebrei possono lasciare la Polonia con un visto di espatrio per Israele, ma molti emigrano in America. Eva si ritrova giovanissima in Canada e poi negli Stati Uniti. Per anni, pur apparentemente assimilata, resta sospesa nello iato inconciliabile tra due culture e due lingue, tra le sfuocate memorie dell’infanzia e il nitido presente americano. Voglio ricordare qui “la parabola del pomodoro” con cui la protagonista cerca di forzare gli amici americani ad accettare che, oltre all’America, ci sia altro al mondo:
“Se non hai mai mangiato un pomodoro vero, puoi credere che quello di plastica sia vero e quel che più conta è che ti piacerà pure – dico ai miei amici – è solo se li hai assaggiati tutti e due che puoi riconoscere la differenza, anche se ti è quasi impossibile descriverla. Questo è l’esempio più convincente del mio repertorio. I miei amici sono scossi dalla parabola del pomodoro di plastica. Ma quando provo ad applicarla per analogia al mondo interiore si ribellano […] Debbo imparare a convivere con loro, trovare un terreno comune. E’ la paura di dover cedere troppo terreno che mi scatena tanto appassionato furore”.
Laura Salmon, slavista
(19 luglio 2013)