Qui Trieste – Qualità etiche, nomi, studio

ra2La permanenza triestina di Redazione aperta continua alla presenza del rav Roberto Della Rocca, Direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI , che tiene una lezione su una delle middoth (le qualità etiche) principali: la riconoscenza. Pagine del libro di Shemot alla mano e, redattori e collaboratori, sono pronti per studiare. “Lo studio delle materie ebraiche è fondamentale per chi lavora nell’informazione”, sottolinea con forza il rav. “L’ebraismo è fatto di doveri orizzontali e verticali che devono muoversi in maniera speculare senza entrare in conflitto. Proprio per questo l’etica e la Torah sono irrinunciabili. La strada del mondo non è sempre quella più breve che, anzi, rischia di sortire un effetto boomerang”. L’esodo degli ebrei dall’Egitto, il paradigma di ogni rivoluzione, è il testimone dell’importanza della riconoscenza. Il libro dell’Esodo, in ebraico Shemot, si può tradurre con ‘nomi’: quale è il nesso con la traduzione della vulgata? Perché il libro inizia con l’elenco dei nomi dei figli di Israele e perché l’incipit è la parola ‘vav’, una congiunzione che lo lega con il libro precedente cioè Bereshit? Il rav risponde con ordine alle tante domande che sorgono dopo la lettura dei primi versi: “Il libro di Bereshit è fondamentalmente un dramma famigliare fatto di conflitti, cadute e risalite. Nel primo libro della Torah gli ebrei faticano per diventare una famiglia, solo dopo essere riusciti ad esserlo possono accedere al livello successivo: diventare un popolo. Si fonda una identità ebraica che è connotata dall’importanza dei nomi. Sono i nomi ebraici trasmessi di padre in figlio che rinnovano il legame e sono il simbolo della liberazione; dare un nome è fare un progetto”. Perché allora Mosè è l’unico ad avere un nome non ebraico? Questo è l’esempio calzante per spiegare il valore etico della riconoscenza. Mosè viene chiamato così dalla figlia del faraone che lo salva in barba ai divieti promulgati dal suo stesso padre. Tra dieci nomi, Mosè sceglie proprio questo per ricordare ogni volta al popolo ebraico l’importanza della gratitudine. Un tipo di etica totalmente differente da quella egiziana. In Shemot è scritto infatti che salì al potere un faraone che non aveva conosciuto Giuseppe, ebreo e salvatore dell’Egitto dalla terribile carestia. Cosa significa? Come poteva non ricordarsi di un personaggio chiave nella storia della propria terra? Il faraone non era riconoscente. Ed proprio in questo che l’etica ebraica si distingue. E il popolo, una volta liberato dalla schiavitù, deve dimenticare l’atteggiamento degli egiziani per costruire un proprio modello di comportamento: “Bisogna far uscire l’Egitto dagli ebrei”. L’ebraismo italiano di oggi ha bisogno di rifondare valori e modelli, leggendo la Torah con la lungimiranza data dalla situazione attuale. Solo lo studio e il confronto potranno far sopravvivere le middoth necessarie nella vita di ogni ebreo. (nell’immagine rav Della Rocca insieme al presidente della Comunità ebraica di Trieste Salonichio, al consigliere Ariel Camerini e ad alcuni partecipanti al laboratorio di redazione aperta)

Rachel Silvera