Arpad Weisz di nuovo protagonista
Qualcuno lo ha definito il “Josè Mourinho degli anni ‘30”, per la sua capacità di innovare, di creare un rapporto con i suoi calciatori, di essere davvero uno di loro. Certo, al di là dei decenni e dell’abisso che separano il mondo del calcio dell’epoca da quello in cui oggi si muove l’uomo di Setubal, Arpad Weisz un allenatore speciale lo è stato davvero. Se la sua storia personale si è conclusa con la più terribile delle tragedie, sono la sua vita e la sua opera a farne una figura unica, che precorse i tempi nel formulare nuovi principi per il suo “giuoco del calcio” che andrebbero tuttora tenuti ben presenti da tutti i suoi protagonisti: tecnici, calciatori, spettatori. Alcune biblioteche in giro per l’Italia ancora contengono una copia di quel libricino, copertina sbiadita e carta ingiallita, in cui Weisz mise quelle idee nero su bianco: “Il giuoco del calcio” scritto nel 1930 a quattro mani con Aldo Molinari che guidava insieme a lui l’A. S. Ambrosiana, “la più tecnica delle squadre italiane di calcio” come scrisse l’editore Alberto Corticelli. Un’opportunità per far conoscere l’opera al grande pubblico dovrebbe prendere corpo nelle prossime settimane grazie all’impegno dell’associazione W il Calcio e del più amato dei quotidiani sportivi italiani, la Gazzetta dello Sport, che si propongono di ristampare il manuale, che racchiude in sé tutto il valore e la modernità del Weisz uomo e allenatore. Quasi commuove sfogliare l’indice e le pagine, ricche di schemi, di suggerimenti, di parole sagge (“Si vedono molti giuocatori che natura ha favorito di tutti i doni necessari per brillare nel mondo calcistico rovinarsi per le sregolatezze della vita privata. L’alcool, il tabacco e Venere sono i più grandi nemici dei giovani in generale e degli atleti in particolare”, e ancora “Data l’importanza che la vita privata esercita sul rendimento di un giocatore, l’attività di un trainer non deve arrestarsi alle istruzioni tecniche. Ha capitale importanza l’influenza morale ch’egli può esercitare sugli allievi posti sotto la sua guida (…) I componenti di una squadra di calcio devono formare una famiglia nella quale tutti cooperano”. E da non perdere sono le fotografie che illustrano il gioco, comprese quelle del giovanissimo Giuseppe Meazza, che proprio dal mister ungherese fu scoperto. L’occasione per far tornare in vita questo pezzo di storia sportiva italiana, come testimonia la prefazione al volume firmata da Vittorio Pozzo (colui che guiderà la nazionale azzurra alla vittoria di due coppe del mondo negli anni successivi), sarà la prima edizione del Trofeo Weisz, che si svolgerà all’Arena di Milano il prossimo 26 settembre. A darsi battaglia sul campo saranno le formazioni giovanili di Inter, Bologna, Milan e Brera. Una manifestazione nata su impulso di W il calcio e promossa dai Comuni di Milano e Bologna e dalle stesse società partecipanti che rappresenterà una grande festa dello sport, anche grazie a una serie di iniziative correlate: una partita amichevole fra la squadra di W il calcio e quella della Camera del Lavoro di Bologna, l’esposizione delle tavole dedicate a Weisz realizzate dal disegnatore Matteo Matteucci, l’utilizzo delle magliette con la dicitura “No al razzismo” con cui sfilarono Inter e Bologna in occasione dello scontro di Coppa Italia della stagione 2012- 2013. In un momento in cui la bellezza dello sport più amato dagli italiani viene sempre più spesso inquinata da fenomeni di intolleranza sugli spalti, scandali legati alle scommesse e, in fondo, talvolta anche dal business mediatico-economico che intorno al rettangolo verde si è sviluppato, una figura come quella del tecnico di nerazzurri e rossoblu ha davvero molto da trasmettere. E così, come spiega, il portavoce di W il calcio Fausto Viviani, il Trofeo Weisz, che verrà ospitato a turno da Milano e da Bologna, rappresenta il primo passo verso un altro progetto in cantiere: l’istituzione di un premio dedicato a riconoscere progetti che si sono distinti per una dimensione di sport impegnato nel sociale. “Vorremmo essere pronti per il 2014 – ci spiega – quando ricorrerà anche il settantesimo anniversario della morte di Weisz”. Dopo l’uscita del volume “Dallo scudetto ad Auschwitz” del direttore del Guerin Sportivo, il bolognese Matteo Marani, che nel 2007 ha riportato alla luce le vicende dimenticate della vita di Weisz, gli insegnamenti del Jose Mourinho degli anni Trenta vengono rilanciati con sempre maggiore attualità. “Dalla lettura dovrebbero uscirne più coscienti giuocatori e migliori spettatori” scrive Pozzo a proposito de “Il giuoco del calcio”. Una affermazione che vale ancora oggi, non soltanto per il libro, ma anche per la stessa storia di Arpad, e soprattutto per la sua visione del calcio che ha ancora molto da insegnare. “Autorità e considerazione derivano al trainer non dall’impiego di mezzi coercitivi ma bensì dalla stima e dal rispetto che saprà ottenere dai suoi allievi – scriveva Weisz – Guai a colui che non saprà esercitare influenze morali benevole negli uomini che deve istruire”.
Rossella Tercatin (Pagine Ebraiche agosto 2013)
(16 agosto 2013)