I nomi di Borgo San Dalmazzo

san dalmazzoVolti, storie, voci degli ebrei in fuga da Saint-Martin_Vésubie discesi nelle vallate del Cuneese all’indomani dell’8 settembre 1943 nell’illusione che la guerra in Italia fosse finita. A ricostruire le loro vicende, in particolare dei 334 che furono poi deportati dal campo di internamento di Borgo San Dalmazzo, una ricerca intitolata Oltre il nome con autrici Adriana Muncinelli ed Elena Fallo, ricercatrici dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea della provincia di Cuneo. Ieri a Borgo la presentazione dello studio, che sarà prossimamente redatto sotto forma di documento scientifico, in occasione di un evento organizzato in collaborazione con la Comunità ebraica di Torino, gli enti e le associazioni locali tra cui l’associazione Giorgio Biandrata di Saluzzo, l’Anpi. Tra i risultati di maggior impatto la scoperta del numero definitivo dei sopravvissuti. Numeri, ma soprattutto storie, emozioni, memorie che emergono dall’oblio di una vicenda poco conosciuta dal grande pubblico. “Un lavoro serio e con tanto sentimento” spiega il presidente della Comunità ebraica torinese Beppe Segre, protagonista anche quest’anno della marcia della memoria che ogni anno vede ebrei italiani e francesi – e al loro fianco molti cittadini comuni, rappresentanti istituzionali, intere scolaresche – incontrarsi tra i monti dove si consumò quella fuga drammatica. “Da un lato l’aspetto del ricordo con il coinvolgimento di tanti giovani. Dall’altra un lavoro storiografico significativo e commovente. Si tratta – prosegue Segre – di iniziative di grande efficacia”.
“Abbiamo fatto questa ricerca per i deportati. Per quelli che non son tornati – ha spiegato Muncinelli – e per quelli che, pur tornati, non sono mai realmente ‘tornati a casa’ perché la casa non c’era più, né tutti i parenti. Talvolta non era rimasto nessuno, e non c’era più la vita che avevano prima cominciato a vivere. Abbiamo fatto questa ricerca per farli ricordare vivi, raccontando la loro esistenza: quella di ‘prima’, quella normale, quella in cui ci possiamo facilmente immedesimare perché potrebbe essere la nostra. E quella del ‘durante’, della persecuzione, in cui immedesimarci è più difficile, perché significa per noi, che non siamo mai stati perseguitati per la nostra origine, metterci nei panni dei persecutori, degli indifferenti, dei giusti”.
A precedere l’evento la pubblicazione di un articolo di Alberto Cavaglion sull’ultimo numero della rivista di settore Camminare. Fitwalking &Wellness. Al centro una riflessione che si sviluppa a partire dalla rievocazione della storica traversata alpina di mille perseguitati dalle leggi razziste svoltasi ieri su impulso dell’associazione Biandrata. “Le Alpi – scrive Cavaglion – sono sempre state un rifugio per devianze: dai catari ai valdesi, in età moderna, mutano le devianze, non il paesaggio. Le cose non cambiarono nemmeno quando, durante la seconda guerra mondiale, le Alpi accolsero la devianza fra le devianze. Ebrei di mezza Europa – attratti, si potrebbe dire, da una legge di naturale gravitazione – dai diversi versanti, svizzeri francesi italiani, puntarono verso le valli alpine. Attratti, si potrebbe dire, da una legge di naturale gravitazione puntarono verso le valli alpine”.

Adam Smulevich
twitter @asmulevichmoked

(2 settembre 2013)