In cornice – L’Etrog di Chagall
“Giorno di Festa (Rabbino con Etrog)” di Chagall è una delle opere più celebri su Sukkot che siano mai state create. Per capirne il messaggio, bisogna osservare il modo inconsueto in cui vengono presentati i simboli della festa. Una nota di contesto: è stato dipinto nel 1914, poco dopo il ritorno di Chagall da Parigi a Vitebsk e il parallelo ritorno alle proprie radici per quel che effettivamente erano. I piedi del rabbino sono infatti ben piantati per terra, non fluttua nell’aria come le figure del periodo parigino. Per cominciare, è da notare come il rabbino tiene il lulav: assolutamente non nel modo giusto, dalla parte delle foglie di palma – che spesso sono taglienti o pungenti – e con una mano aperta, quasi lo volesse far cadere. Guardate poi l’etrog, che va conservato con la massima cura, tenuto possibilmente in una scatola quando non viene utilizzato; qui, il rabbino lo tiene con la punta delle dita, quasi gli disturbasse toccarlo, quasi lo volesse far cadere e rischiare di renderlo inutilizzabile. Per di più la posizione in cui tiene l’etrog, col picciolo né in alto né in basso, è inusuale, anche se Chagall conosceva benissimo regole e usi riguardo alla festa e al lulav. Guardate poi l’edificio (una sinagoga?) in cui entra. Innanzitutto ha un tetto, chiaramente non è una sukkah (dove invece un rabbino dovrebbe dimorare durante tutto lo Shabbat) e i gradini sembrano particolarmente scomodi a salire, poco invitanti, come se la sinagoga o l’edificio non è il luogo in cui il rabbino vorrebbe andare. Il tetto è basso – troppo basso. A questo punto, si può comprendere il significato della figura che si trova sulla testa del rabbino e che guarda indietro – argomento che appassiona tanti critici dell’arte. Il rabbino in questo giorno di festa ha un viso scuro e ben altri pensieri rispetto a Sukkot: ha preso il lulav e va in sinagoga o a casa più per dovere che altro, forse per rispetto verso antiche tradizioni che non sente proprie. Tutto quel che fa è per apparenza, manca la sostanza. Il quadro, quindi, esprime una fase di critica e di distacco dall’ebraismo e dalla sua cittadina rispetto al periodo sfavillante di Parigi. Critiche che ritroviamo in altre opere del periodo, come i cartoni dedicati al teatro yiddish in cui in effetti lo critica in molti aspetti. Ma saranno proprie le radici culturali che il rabbino del quadro pare poco apprezzare, che faranno di Chagall uno degli artisti più celebri.
Daniele Liberanome, critico d’arte
(23 settembre 2013)