Qui Pordenone – Il festival si mette in società

pordenoneLa crisi e il taglio dei contributi pubblici alla cultura rischiavano di ridurre notevolmente la quattordicesima edizione di Pordenonelegge, la Festa del libro con gli autori. Invece la città ha deciso di rispondere proponendo un programma fittissimo di incontri, e dal livello qualitativo di tutto rispetto, anche attraverso una serie di sinergie tra aziende sul territorio e istituzioni. A favorire tutto ciò anche la scelta di costituire la Fondazione Pordenonelegge.it, onlus nata dalla consapevolezza del potenziale offerto dalla cultura di qualità per favorire la crescita economica.

La risposta del pubblico ha superato le aspettative: oltre 120mila presenze in cinque giorni, fitti di eventi (più di 300) organizzati in una quarantina di luoghi della città, centinaia di protagonisti, decine di grandi prime letterarie. A ciò si aggiunge l’idea dell’azionariato diffuso, che ha immediatamente raccolto l’adesione di più di 800 sostenitori, e il gemellaggio con il Salone del Libro di Torino. La collaborazione poi tra il Liceo Classico Alfieri di Torino ed il Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone, ha assicurato la partecipazione di tantissimi studenti a tutte le manifestazioni letterarie, anche attraverso l’uso da loro fatto del blog http://bookblog.salonelibro.it e dei social network; i ragazzi delle due scuole racconteranno assieme anche l’edizione 2014 del Salone di Torino. Gli eventi sono stati gestiti con attenzione e professionalità, assicurando la possibilità di accedere anche agli eventi di maggior richiamo che registravano il tutto esaurito grazie all’utilizzo di maxischermi e, come nel caso dell’incontro con Roberto Saviano e Stefano Piedimonte, anche con la possibilità di utilizzare la diretta streaming, disponibile direttamente dal sito del festival.

La presenza di centinaia di persone disposte ad aspettare pazientemente, in coda per assistere alla presentazione di romanzi, letture di poesie, saggi, interviste a cineasti dimostra che la scommessa è vinta e che una volta di più Pordenonelegge è riuscita ad essere non solo la “Festa del libro con gli autori” ma anche un laboratorio sulla letteratura, in cui chi legge incontra chi scrive e chi pubblica, non solo per ascoltare, ma anche – o forse soprattutto – per dialogare, dimostrando che la cultura di qualità in Italia ha ancora senso.

Paola Pini

Pordenonelegge – la Festa del libro con gli autori

Durante Pordenonelegge, la “Festa del libro con gli autori”, anche quest’anno per la quattordicesima edizione tutta la città si è tinta di giallo, il colore della manifestazione. Dalla Mappa dei sentimenti agli Approfondimenti storici, dallo spazio permanente dedicato alla poesia, alle Scritture emergenti fino a Parole in scena e Fight Reading, tutto parlava di libri, di lettura, e di autori, grazie alla presenza di oltre trecento protagonisti della letteratura italiana e internazionale. Cinque giorni di incontri sparsi per tutta la città, che accoglie ogni anno decine di migliaia di persone (circa centoventimila le presenze quest’anno), un numero in continua crescita, nonostante le preoccupazioni degli organizzatori che temevano una flessione dovuta alla crisi. Un dettaglio curioso: i curatori hanno lamentato come a volte sia difficile di coinvolgere gli autori israeliani – a cui prestano da sempre una particolare attenzione – e hanno scoperto parlando con la redazione di questo giornale come funziona il calendario ebraico… E per chi volesse iniziare a programmare una visita per la prossima edizione, il sito è www.pordenonelegge.it

La mente, una rivoluzione da leggere

Il numero di Pagine Ebraiche in distribuzione in questi giorni, diffuso durante il festival dall’organizzazione stessa di Pordenonelegge, in sala stampa e negli info point, contiene un’anticipazione dei contenuti di uno degli incontri che hanno avuto il maggior successo di pubblico, con centinaia di persone presenti al Palaprovincia, e molti altri che non sono potuti entrare: la presentazione del libro di Flora Tommaseo a cui hanno partecipato, insieme alla giovane autrice, Claudio Magris, Margherita Gobbi e Peppe Dell’Acqua.

Parlare di un libro, durante una manifestazione che si autodefinisce “Festa del libro con gli autori” porta con sé un vissuto che ha pochissimo a che fare con quella leggerezza e con l’apparente svagatezza con cui spesso i frequentatori seriali di festival culturali si spostano da un appuntamento a un altro, da una presentazione a una lettura, da una lezione aperta a uno spettacolo. A volte la collocazione geografica oltre a funzionare come una sorta di preselezione riesce a condizionare in maniera molto definita la storia di un festival e le storie che lo abitano anno dopo anno, e Pordenone è certamente un luogo che si può definire remoto, difficile, che bisogna voler raggiungere, non capita di passarci per caso dirigendo verso altre mete. A volte, poi, un libro non è solo un racconto, bensì l’indicazione di un percorso possibile, forse. Il titolo dell’incontro “Dall’acquario al mare. Narrazioni, autobiografie e testimonianze per uscire dal disagio mentale” rimanda a un libro così: una narrazione autobiografica, appunto, che però si trova anche al crocevia di altre storie, altri libri, altri autori e percorsi, in un continuo rincorrersi. Non un libro leggero, non un incontro facile, ma il pubblico che arriva a Pordenonelegge è in media un pubblico interessato, curioso, che vuole ascoltare, incontrare, capire…
Il nome di grande richiamo fra i relatori sarà probabilmente quello di Claudio Magris – germanista, scrittore, capace di rivalutare per primo il filone letterario di matrice ebraica che pervade la letteratura mitteleuropea – che nell’introduzione ha scritto che “La stanza dei pesci” di Flora Tommaseo tratta di una vita vera, “talora troppo dolorosamente vera”.
E saranno sicuramente tanti gli argomenti importanti, e difficili, e dolorosi sui cui sarà invece lo psichiatra Peppe Dell’Acqua ad avere moltissimo da dire. Autore a sua volta di libri importanti, ha iniziato a lavorare con Franco Basaglia nel 1971 all’ospedale psichiatrico di Trieste, dove è stato uno dei protagonisti di quel percorso di liberazione, la riforma Basaglia, che ha trasformato l’istituzione manicomiale e la condizione di molti dei suoi degenti in una maniera prima impensabile, fino ad arrivare alla famosa legge 180.
Ed è proprio Magris a dire, di Dell’Acqua, che “Nel suo libro ‘Non ho l’arma che uccide il leone’ ha raccontato con precisione e felicità narrativa l’avventura della rivoluzione psichiatrica, ascoltando tante voci prima inascoltate di chi non poteva parlare e cogliendone non solo il dolore o l’infamia che l’ha provocato, ma anche la sorgiva creatività, quella capacità d’infanzia e di favola che talora perfino la sventura e la violenza non riescono a soffocare del tutto.” E lo psichiatra, che è ora in pensione ma dice allegramente che ha “molto da fare, anche più di prima”, nel 2010 con alcuni amici ha iniziato a ragionare su come “rimettere in moto parole, pensieri ed esperienze vissute quando eravamo ragazzi, quarant’anni fa”.
Perché le storie e i percorsi della de-istituzionalizzazione, della critica alla medicina e alla scienza non si perdano, ma ritrovino invece nuovi lettori. Nascono così le quattro sezioni di “180 – Archivio critico della salute mentale”, una collana della Edizioni alphabeta Verlag, una casa editrice di Merano che presta molta attenzione ai “confini” in tutti i significati che può assumere questa parola e che dopo mezzo secolo dall’avvio dei primi cambiamenti nelle grandi istituzioni manicomiali prova a riflettere sui risultati raggiunti, ma anche sui problemi aperti. Dalla narrazione di storie ed esperienze anche collettive, alla riproposta di testi che hanno avuto un ruolo importante nel cambiamento – per esempio “Marco Cavallo” di Giuliano Scabia, originariamente uscito per Einaudi – alle traduzioni, all’attualità, il percorso della collana sembra voler indicare una via, quella del recupero della memoria e della voglia di continuare a discutere, a parlare, ad approfondire.
E nelle parole di Peppe Dell’Acqua si sente chiaramente quel richiamo costante a una partecipazione continua e diffusa, che Basaglia auspicava, e non manca sicuramente la voglia di portare avanti un’azione instancabile di coinvolgimento e di impegno nelle trasformazioni sociali. Rifacendosi al libro di Flora Tommaseo, che racconta della sua battaglia per uscire dalla “stanza dei pesci” del disagio e della sofferenza, il dottor Dell’Acqua sottolinea come a volte serva “qualcuno che ti indichi la via del mare”. Riportando in vita scritti, parole, pensieri, non stancandosi di riproporre approfondimenti e discussioni, cercando di trarne sempre nuovi spunti e stimoli. E serve indubitabilmente ricordare che la lettura, e forse ancor più l’atto stesso della narrazione, non hanno un significato solo letterario ma sono una passaggio ineludibile nella ricerca dell’altro, soprattutto in un ambito, come quello della psichiatria, in cui il rischio è che la diagnosi tolga la parola alle persone. Perché anche quella del medico, attraverso l’anamnesi clinica, è una forma di narrazione, ma senza il ruolo attivo del paziente che si pone come primo attore, come narratore, non è possibile riappropriarsi di una vita, di pensieri, di dignità e soprattutto di una propria identità. Perché ciò che interessa – come ripeteva sempre Franco Basaglia – sono le persone, non la malattia.
E forse è questo il momento giusto per ricominciare a raccontare, è necessario ricordare le storie di quella rivoluzione che sembra lontana nel tempo ma è quanto mai attuale. Pubblicare, riproporre, discutere, far circolare le idee, i pensieri, le esperienze.
Bisogna davvero riprendere a raccontare chi è stato Marco Cavallo, per non dimenticare che i muri da sfondare sono ancora lì, e che li incontriamo quotidianamente. E Basaglia, ancora lui, ha ribadito una volta di più il concetto: “È quel che ho detto già mille volte: nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, noi non possiamo vincere perché è il potere che vince sempre. Noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare”.

a.t. Pagine Ebraiche, ottobre 2013

(23 settembre 2013)