…pentimenti
Priebke è morto. Finalmente! E c’è chi, anche fra noi, si rammarica che non si sia mai pentito del male che ha fatto. Disposto ad accogliere serenamente l’accusa di cinismo, voglio essere sincero. Non avrebbe fatto alcuna differenza se si fosse pentito: non avremmo mai potuto riconoscere la qualità del suo pentimento. Ciò che rimane certo e irreversibile è il male che ha fatto; le persone che ha ucciso non ritorneranno a noi, e il ‘pentimento’ sarebbe servito solo a lui. In ogni caso, “The offender’s sorrow lends but weak relief” scriveva una geniale sensibilità di fine ‘500, “Il dolore del colpevole dà ben poco sollievo”. Se i morti avessero memoria, dell’assassino potrebbero ricordare soltanto la sua natura di assassino. Ogni altra considerazione fa parte di astratte filosofie del sentimento, e non appartiene alla storia. Non alla nostra storia, comunque. Non vale l’occhio per occhio, perché nulla può compensare la perdita; ma non valgono neppure le guance e il perdono da offrire all’irreparabilità dell’offesa subita. Sarebbe ipocrita fingere di credere che il pentimento possa stingere il sangue o alleviare il dolore. Il rancore senza fine esaspera e consuma, ma non offre alternative, né utili né credibili. La giustizia degli uomini con lui non ha funzionato a dovere. Speriamo che a funzionare meglio sia quella divina. Quanto ai suoi funerali, l’essenziale è che le sue ceneri non siano disperse al vento, a contagiare altri cervelli e altre coscienze.
Dario Calimani, anglista
(15 ottobre 2013)