Dostoevskij

salmonMi scuso coi lettori se la settimana scorsa non ho potuto pubblicare il mio consueto piccolo contributo. Avevo infatti da mandare in stampa un lavoro enorme, un’opera costata più di due anni di fatiche: una nuova edizione dell’Idiota di Dostoevskij (in libreria a fine ottobre). Questa traduzione innovativa è accompagnata da una dettagliata Nota del Traduttore e da una corposa Postfazione. Nelle prime pagine di questo saggio conclusivo, dopo pensamenti e ripensamenti, ho deciso di affrontare il delicatissimo tema dell’antisemitismo di Dostoevskij, troppo spesso deliberatamente taciuto anche dai più celebri studiosi ebrei. Oltre a romanzi e racconti, infatti, Dostoevskij ha lasciato moltissimi interventi da pubblicista, letterato e giornalista (oltre a un vasto numero di lettere), in cui si trovano affermazioni che non consentono dubbi: il Dostoevskij-pubblicista, almeno nell’ultimo decennio della sua vita, era arrivato a propugnare una russofilia esasperata, tanto da divenire l’ideologo del “messianesimo russo”, ovvero di un movimento che vedeva nel primigenio cristianesimo russo la sola salvezza per l’Europa sull’orlo di imminenti catastrofi. Lo scrittore aveva sempre più assimilato le idee retrive e antisemite di personalità della cultura e della politica russa che inneggavano a un bieco nazionalismo. In uno dei suoi scritti più celebri, che risale al 1880, risuonava persino un esplicito richiamo all’unione della “stirpe ariana”. Morto nel gennaio 1881, Dostoevskij aveva dunque assunto le vesti di “profeta della cristianità russa” negli anni antecedenti l’assassinio terroristico di Alessandro II – lo zar riformatore e liberatore – avvenuto il 1° marzo di quello stesso anno. Non sapremo mai, quindi, come lo scrittore avrebbe reagito, se fosse stato ancora vivo, ai “grandi pogrom” che, subito dopo lo zaricidio, seminarono terrore e morte tra la popolazione ebraica dell’Ucraina e della Bessarabia. Purtroppo, alcune sue precedenti “tirate” sulla guerra e sulla politica espansionista dell’impero non inducono a ipotesi ottimistiche. Eppure, ciononostante, nell’opera letteraria del Dostoevskij-artista non solo non c’è antisemitismo, ma non c’è alcuna idea dell’autore che domini sulle altre: anzi, i suoi romanzi sono il terreno di un ininterrotto dialogo dei personaggi tra loro e con se stessi, di personaggi totalmente autonomi che propugnano le idee più disparate e contraddittorie, dibattendosi nel groviglio delle loro stesse contraddizioni. L’anti-eroe dostoevskiano è perennemente dedito a un’indagine di inebriante complessità, è votato a una riflessione interiore che nega qualsiasi atteggiamento dogmatico. Si potrebbe dire persino che l’opera del Dostoevskij-artista è affine alla profonda dialogicità che connota la cultura dell’ebraismo est-europeo: l’arte dostoevskiana è un omaggio al paradosso e al dubbio, e rivela, in un equilibrio di umorismo e pathos, la capacità di sviscerare i meandri più nascosti della psiche umana lacerata tra pulsioni primarie e istinto morale. Proprio questa autonomia artistica, così mi sembra, dovrebbe offrire grandi gratificazioni a qualsiasi intelletto ebraico votato alla ricerca, all’indagine, alla riflessione, ovvero a qualsiasi lettore insofferente di fronte al dogmatismo e alle ideologie precostituite. I romanzi dostoevskiani sono la voce di un uomo di smisurata libertà intellettuale e di profondissima empatia umana che non ha proprio nulla a che spartire col Dostoevskij-predicatore e pubblicista. La sua arte, insomma, è la sublime sublimazione delle sue umane miserie.

Laura Salmon, slavista

(25 ottobre 2013)