Periscopio – Querele
La vicenda della condanna di Peppino Caldarola a seguito della querela sporta contro di loro dal vignettista Vauro, per aver osato criticare il contenuto di una sua vignetta su Fiamma Nirenstein, ha, francamente, dell’incredibile, qualcosa degna di un teatro dell’assurdo.
Stiamo ai fatti: Vauro disegna una feroce vignetta, in cui la Nirenstein è raffigurata come un orribile mostro (vignetta intitolata appunto “mostri elettorali”), fregiata di una stella di David e un fascio littorio, col naso adunco tipico dell’orrido ebreo. Quest’ultimo elemento, quello del naso adunco, è stato contestato dal vignettista in Tribunale, in quanto si tratterebbe semplicemente di un suo consueto tratto caricaturale. A me non pare, ma diamo pure per buona questa tesi, il naso adunco non c’era. Ma certamente la Nirenstein era raffigurata come un essere mostruoso, alla cui mostruosità contribuivano, in ugual misura, le due contrastanti identità che portava stampate sul peto, quella ebraica e quella fascista. Una cosa non certo carina. La Nirenstein, comunque, NON querela Vauro, come pure avrebbe avuto tutte le ragioni di fare, ma Caldarola denuncia in un articolo – dal tono sarcastico e paradossale – la volgarità della vignetta, che non prende in giro la giornalista per qualche suo gesto o parola (cosa assolutamente lecita), ma la mette alla gogna semplicemente per il suo essere quello che si vuol far credere che sia, cioè, scrive amaramente Caldarola, una “sporca ebrea”. Vauro, offeso, querela, e i giudici gli danno ragione. Non si può denunciare chi raffigura una donna come un mostro (con o senza naso adunco), il fascio littorio e la stella di David, dicendo che l’ha raffigurata come una “sporca ebrea”, perché ciò è offensivo. Dire, con un’immagine e con la relativa didascalia, che la Nirenstein è una mostruosa ebrea fascista si può, ma smascherare il carattere offensivo dell’operazione non si può, è un reato.
Siamo abituati a sentir dire che la satira deve essere libera, non sottoposta a nessuna forma di censura, anche quando cattiva, caustica, irriverente. Personalmente, sono d’accordo, e ritengo che la Nirenstein abbia fatto bene a non sporgere querela contro la vignetta di Vauro, pur così di cattivo gusto e così ingiuriosa contro la sua persona. Ma non si può fare satira sulla satira? Solo la satira deve essere al riparo da qualsiasi giudizio, qualsiasi critica, qualsiasi appunto? E perché mai? Il fatto che Vauro, abituato a difendere il suo spazio di libertà contro ogni tentativo di limitazione o pressione esterna, abbia voluto negare tale libertà a chi ha osato criticarlo, è una cosa che suscita profonda pena, e la dice lunga sul concetto di libertà del personaggio. Da chiunque ci saremmo aspettati una querela per diffamazione, tranne che da chi ha scelto per professione di prendersi gioco degli altri, smascherandone difetti, contraddizioni, debolezze (spesso in modo arguto e intelligente, lo riconosciamo). E il fatto che dei giudici gli abbiano dato ragione aggiunge alla pena un profondo sconforto. E’ veramente un giorno triste per il diritto, la democrazia, la libertà di stampa e di pensiero. Forse, come ha scritto sul Giornale dello scorso 31 ottobre la prima interessata, Fiamma Nirenstein, alla base della vicenda c’è soprattutto la sistematica, totale, assoluta rimozione generale del concetto di antisemitismo. Nessuno, a nessun livello, in nessuna circostanza, e nessun contesto, può mai dire né fare lontanamente intendere (Caldarola, infatti, non lo aveva esplicitamente detto) che qualcun altro sia antisemita, perché l’antisemitismo, semplicemente, non esiste. Insultare gli ebrei in quanto ebrei si può, è una forma di libertà, ma guai a sospettare lontanamente che chi lo fa sia mosso da qualche forma di pregiudizio, pena querela e condanna penale.
Francesco Lucrezi, storico
(6 novembre 2013)