Pew Research Center – Potenziali e problemi dell’ebraismo americano
Il Centro Studi Pew di Washington, specializzato nella ricerca sulla religione negli Stati Uniti e nel mondo, ha appena pubblicato i risultati della nuova indagine “A portrait of Jewish Americans” (Ritratto degli americani ebrei). Fin dalla precedente indagine condotta nel 2000 dall’Unione delle comunità ebraiche americane (le Federations), e dopo che nel 2010 le stesse comunità avevano deciso di non ripetere uno studio simile, le tendenze dell’identificazione e della demografia degli ebrei americani sono al centro di un vivace dibattito tra ricercatori, intellettuali e leader della comunità. I pareri sono divisi su tutta la gamma tra crescita numerica e rinascita culturale, da un lato, e assimilazione identitaria e erosione numerica, dall’altro. E già il titolo del nuovo studio – “Americani ebrei” e non “Ebrei americani” – la dice lunga. Qual è la proprietà principale fissa e quale la sua occasionale variazione? Quella ebraica o quella americana? A metà strada fra una solare e molto americana fiducia in se stessi, e una preoccupata introspezione tutta ebraica, la nuova indagine fornisce gli strumenti e i dati di base perché ogni lettore possa raggiungere una propria valutazione indipendente delle dimensioni e delle caratteristiche della comunità ebraica americana, senza bisogno che l’altrui narrativa interferisca con questo giudizio personale. Da una prima veloce lettura dei risultati della nuova indagine emerge una domanda metaforica. Se gli Stati Uniti hanno 6,7 milioni di titolari di un titolo di dottorato, e un milione di loro sono in possesso di un dottorato parziale, quanti dottori ci sono negli Stati Uniti? O per usare un’altra metafora, che cosa vuol dire un governo parzialmente democratico, o essere parzialmente incinta? Si può essere parzialmente tifosi della Juventus e parzialmente del Milan? Tornando al sondaggio, certamente molti fra i maggiori intellettuali ebrei e dirigenti comunitari negli Stati Uniti accoglieranno con favore la nuova stima di 6,7 milioni di ebrei negli Stati Uniti che è molto superiore all’attuale valutazione demografica dell’ebraismo americano. Ma tra questi, appunto un milione dicono di non avere alcuna religione e di essere parzialmente ebrei. Vale la pena allora di parlare di una popolazione di 5,7 milioni di ebrei a tempo pieno – secondo la religione o anche privi di affiliazione religiosa ma senza un’altra preferenza identitaria – compatibile con le precedenti stime demografiche, e di un altro milione di ebrei a tempo parziale. Il Centro Pew si basa su dati di indagine, e la maggior parte delle persone sono oneste quando rispondono alle indagini – se si prendono la briga di rispondere, cosa sempre meno scontata al giorno d’oggi. Se gli intervistati si dicono ebrei e qualcos’altro, noi crediamo loro e non vediamo perché si debba costringerli a rinunciare a questo qualcos’altro. Secondo la nuova indagine, inoltre, ci sono altri 3,6 milioni di americani che dicono di non essere ebrei, ma che hanno qualche rapporto di ascendenza ebraica o che hanno unaconnessione ebraica qualsivoglia. Per alcuni di loro questa connessione è significativa. Ma allo stesso tempo, per molti altri – tra cui molti che si dichiarano ebrei – essere ebreo non è poi così importante. In altre parole, il quadro emergente è quello di una certa stabilità del nucleo centrale e certo della propria identità ebraica, e di una costante espansione di una periferia identitaria sempre meno riconoscibile da un punto di vista ebraico nel pensiero e nei comportamenti. Questa vasta periferia, nettamente più giovane rispetto al nucleo centrale, è il prodotto dell’assimilazione degli ultimi decenni. Questo esteso collettivo cambia di giorno in giorno, ogni giorno si presenta qualcuno che ieri non c’era, e ogni giorno scompare qualcuno che ieri c’era. Molti non-ebrei occasionalmente agiscono da ebrei, e molti ebrei spesso fanno qualcosa di non ebraico. Tutto ciò potrà sembrare particolarmente confuso, ma è un’immagine affidabile che raffigura le mutazioni complesse che si verificano nella identità ebraica degli Stati Uniti. Questa fluidità di sentimenti e porosità di frontiere ideali è la quintessenza dell’americanizzazione. Non si tratta di condannare il fenomeno, si tratta di prenderne atto, e per chi lo voglia, di cercare di rettificare le tendenze in corso, ma senza illusioni. Esiste uno scambio fra estensione della definizione di una comunità e intensità di partecipazione dei suoi membri. Se negli Stati Uniti vogliamo aggiungere un milione di ebrei, peraltro marginali, dobbiamo anche accettare che la percentuale di matrimoni misti aumenti circa del dieci per cento. Possiamo allora guardare indietro con nostalgia al dato di 52% di matrimoni misti che già nel 1990 suscitò un putiferio e accuse di incompetenza ai ricercatori che lo avevano onestamente calcolato, per trovarci oggi con un nuovo dato attorno al 58%. Aumentare la cerchia della definizione di chi è ebreo significa anche diluirne i contenuti. D’altra parte, una definizione più ristretta, significa anche un pubblico più consapevole e motivato. In ogni caso anche l’ebraismo americano invecchia. Di fronte a circa un 15% della popolazione ebraica al di sotto dei 15 anni, troviamo un 20% al di sopra dei 65. Il senso dell’identità ebraica negli Stati Uniti, e in qualsiasi altro paese, alla fine si risolve nel significato che essa assume prima per la persona e poi per il collettivo. È quindi interessante verificare quali siano i contenuti che maggiormente qualificano questa identità. Al primo posto, come anche in passate indagini, la memoria dell’Olocausto (73%), poi condurre una vita etica (69%), lavorare per la giustizia e l’eguaglianza (56%), essere intellettualemente curioso (49%), preoccuparsi per Israele (43%), avere un buon senso dell’umorismo (42%), far parte di una comunità ebraica (28%), osservare la legge ebraica (19%), mangiare cibi ebraici tradizionali (14%). Quasi tutti questi indicatori sono in ribasso rispetto al 2001. Il nuovo studio ci dà anche interessanti informazioni circa il rapporto degli ebrei americani nei confronti di Israele. È in significativo aumento il tasso di coloro che hanno visitato il paese, ma è sempre tra i più bassi al mondo, attorno al 43% – ossia meno della metà. Il 30% degli adulti ebrei si dicono fortemente legati a Israele, il 39% in una certa misura, e il 31% poco o niente. Riguardo a questa e a ogni altra misura significativa dell’identificazione ebraica, esiste un grande divario tra coloro che si definiscono di religione ebraica, e coloro che si definiscono senza religione o ebrei a tempo parziale. Si nota semmai una polarizzazione delle risposte in due gruppi: da un lato le opzioni più tradizionalmente ebraiche e comunitarie, e fra queste Israele; dall’altro le opzioni più generiche o meglio compatibili con un generico ethos di moralità americana, e fra queste la memoria della Shoah. Al centro, una grande lacuna che potrebbe forse essere colmata da un generico sentimento di appartenenza al popolo ebraico. Ma non è chiaro quanto viva sia ancora questa valenza transnazionale fra il polo della permanenza di un complesso di valori ebraici unici e qualificanti e quello della completa americanizzazione. La crescente distanza fra queste due opposte tendenze, soprattutto fra i più giovani, è il tema centrale sul quale nei prossimi decenni si giocherà il destino degli ebrei negli Stati Uniti.
Sergio Della Pergola, Università ebraica di Gerusalemme
Pagine Ebraiche, novembre 2013
(24 novembre 2013)