giovani…
La Parashah di Wa-yiggàsh contiene svariati argomenti: dal riconoscimento di Yosèf, alla discesa di Ya‘aqòv e famiglia in Egitto, all’incontro con il Faraone ed infine alla rivoluzione economica egiziana operata da Yosèf. I temi sono quindi diversissimi; tuttavia un unico filo percorre tutta la Parashah: quello della preoccupazione per i giovani.
Di questo si preoccupa Yehudà quando difende Binyamìn dall’accusa di furto, preparandosi – a detta dei nostri Maestri – sia al donativo, sia alla preghiera, sia allo scontro fisico; e non è senza motivo che in quest’occasione Binyamìn sia sempre definito come “qatàn” e come “nà‘ar”, “piccolo” e “ragazzo”, nonostante abbia ormai trent’anni!
Questa è la preoccupazione di Yehudà, secondo il Midràsh, quando si domanda “ki ekh e‘elè el avì, weha-nà‘ar enénnu ittì?”, “come posso tornare da mio padre, se il ragazzo non è con me?”; in altre parole, come si può presentarsi al cospetto di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ se non ci si preoccupa della continuità, delle nuove generazioni? Anche per questo la Torà, al momento della discesa in Egitto, elenca uno per uno i discendenti di Ya‘aqòv, insistendo in modo particolare sui suoi nipoti; e sempre per questo Ha-Qadòsh Barùkh Hu, in quel momento, rassicura l’anziano Patriarca promettendogli che sarà il suo figlio prediletto, Yosèf, a “porre la sua mano” sui suoi occhi, a far sì che non debba guardarsi intorno per cercare a chi trasmettere la sua eredità spirituale.
La stessa preoccupazione anima Ya‘aqòv quando, prima di scendere in Egitto, manda in avanscoperta Yehudà “le-horòth le-fanàw Gòshna”, “per dare indicazioni prima di lui per Gòshen”, ossia – sempre secondo il Midràsh – per avviarvi una scuola in cui insegnare ai giovani i valori tradizionali del casato d’Israele.
Anche a proposito della rivoluzione economica dell’Egitto, notiamo che Yosèf procura di far sì che essa diventi “choq ‘ad ha-yòm ha-zè”, “statuto fino a questo giorno”, cioè qualcosa da tramandare nel tempo.
Questa è la linea di azione caratteristica d’Israele, ed è l’unica – e la storia lo dimostra – che può garantire una continuità di esistenza; e questa continuità al di là di ogni logica è tale da suscitare lo stupore in chi ci osserva, come suscitò quello del Faraone di fronte a Ya‘aqòv. Difatti, vedendolo entrare, il Faraone domandò al Patriarca quanti anni avesse; i nostri Maestri narrano che il motivo di questa domanda stava nel fatto che di fronte a Ya‘aqòv (affinché non fosse costretto ad inchinarsi di fronte al sovrano e di fronte ai suoi idoli) gli architravi delle porte si erano alzati come quando, due generazioni addietro, era entrato Avrahàm. Questo racconto vuole insegnarci che Ya‘aqòv aveva lo stesso livello di spiritualità ebraica di Avrahàm, perché ne aveva ricevuto e conservato alla perfezione gli insegnamenti.
Tuttavia, di questo stupore che la nostra sopravvivenza suscita non dobbiamo accontentarci, né confidare solo su di esso: la risposta di Ya‘aqòv / Israel deve sempre considerare ancora non sufficiente quanto già fatto, mirare sempre ad una crescita, ad un miglioramento rispetto al presente, investendo sul futuro, sui giovani. Solo così chi verrà dopo di noi ci aiuterà a costruirci.
Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana
(5 dicembre 2013)