Qui Bologna – Psicopedagogia e tradizione ebraica
Che rapporto c’è fra tradizione ebraica, trasmissione educativa e benessere psicologico?
Su questo ha riflettuto la Comunità ebraica di Bologna insieme alla psicologa e psicoterapeuta Jael Kopciowski a un incontro promosso dal dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
“La ricerca in ambito psicologico” spiega Jael “si sta interessando con sempre maggiore attenzione alle varie forme dello ‘stare bene’, intendendo, per ‘star bene’ la possibilità di individuare gli aspetti positivi delle esperienze fatte per viverle in modo da trarne gratificazioni e prospettive per il futuro. Il pensiero di Feuerstein, anche se non ne fa parte in modo effettivo, ricopre una posizione privilegiata in questo ambito, avendo orientato fin dai suoi primi, lontanissimi, passi la propria azione sulla ricerca e la messa in pratica di strategie di intervento volte al “positivo”. Egli ha un approccio orientato all’individuazione degli aspetti positivi presenti in ogni situazione, con l’obiettivo di identificare competenze, risorse e abilità in ciascuno per promuoverne le potenzialità. Molte delle sue intuizioni psicologiche sono intrinsecamente legate alla cultura ebraica, dandoci piena evidenza di quanto le nostre tradizioni portino a valide riflessioni in ambito psicopedagogico. Un antico insegnamento ebraico dice che il Signore, al termine della vita terrena di ogni individuo, chiede conto di tutte le gioie (lecite) di cui avrebbe potuto godere e che ha trascurato. L’obiettivo di questo insegnamento è, evidentemente, quello di indirizzare il pensiero umano verso il positivo. Le difficoltà non vengono ignorate, né tanto meno lo sono la sofferenza o il disagio, ma nell’ottica di affrontarle attraverso una via alternativa, che miri a capire e a favorire lo sviluppo delle risorse soggettive per gestire al meglio l’esistenza. Ogni momento della vita ebraica è accompagnato da elementi rituali che ne danno un significato educativo e spirituale importante. Possiamo portare come esempio l’esplicito invito a dire una benedizione per ogni atto della propria vita. Individuare quale benedizione sia giusta per ogni singolo frangente o la capacità di crearne di specifiche, stimola la consapevolezza di ciò che si sta facendo e, contemporaneamente, indirizza a pensare positivo. Se devo benedire il Signore per l’evento in atto, devo coglierne tutti i possibili aspetti positivi e se la berachah deve essere adatta a ciò che sto benedicendo, bisogna che mi sia ben chiaro il suo significato. Tanto la consapevolezza di quanto si sta facendo quanto la positività del proprio pensiero sono indicate dalla psicologia, suffragata dalle ricerche in ambito neuroscientifico, come elementi protettori dell’equilibrio psichico”.
Saper trasmettere questi valori attraverso delle strategie efficaci non è facile, ma da sempre la tradizione ebraica offre una strada in tal senso molto valida. Continuare a scoprirla insieme è quello che il Dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI si augura.
Ilana Bahbout
(5 dicembre 2013)