Sapori – Kasherut, una sfida nazionale
La necessità di affrontare e mettere ordine nel settore della kasherut in Italia si fa sentire sempre di più. Una questione economica in primo luogo, con tante famiglie che, nelle grandi come nelle piccole Comunità, lamentano la difficoltà di trovare prodotti kasher a prezzi sostenibili. L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, attraverso il lavoro dell’assessore al Culto Semi Pavoncello e della Commissione Kasherut guidata dal Consigliere Jacqueline Fellus, nonché il costante contatto con figure di riferimento del settore come il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, sta lavorando per istituire un Ufficio di kasherut nazionale che possa realizzare diversi obiettivi. Spazio all’argomento nel dossier Sapori pubblicato sul numero di Pagine Ebraiche di dicembre attualmente in distribuzione. “Secondo la mia visione, quando si parla di kasherut, la priorità su cui lavorare è quella del mercato italiano e bisogna avere le idee chiare su obiettivi e strategie” spiega rav Di Segni. (nell’immagine in alto la descrizione del progetto Kasherut nazionale sul portale del Ministero dello Sviluppo economico, che sta collaborando con l’UCEI)
“La priorità va al mercato italiano”
La ricetta di rav Riccardo Di Segni
“Secondo la mia visione, quando si parla di kasherut, la priorità su cui lavorare è quella del mercato italiano e bisogna avere le idee chiare su obiettivi e strategie”. Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni spiega così la sua prospettiva sul percorso che le istituzioni ebraiche devono intraprendere per migliorare la fruibilità e la convenienza dei prodotti kasher, cioè adatti a essere consumati secondo la legge ebraica. “Occorre suddividere il discorso in due diversi ambiti, la carne, e tutto il resto dei generi alimentari. Lavorare sull’export non è una priorità, e ha senso farlo se può avere risvolti positivi per il mercato interno, in termini economici, o di incremento della gamma di prodotti a disposizione” precisa il rav, che specifica anche come però i vari piani su cui attivarsi possano essere portati avanti in parallelo, per agevolarsi reciprocamente. “Se si desidera mettere ordine nel mercato kasher in Italia prima di tutto bisogna partire da ciò che già esiste, e serve qualcuno che vi lavori seriamente – sottolinea – Nei maggiori paesi del mondo esistono liste che elencano i prodotti che ricevono il timbro di kasherut e quelli che, pur non ricevendolo, sono comunque controllati. Sarebbe necessario fare altrettanto anche in Italia, dove per di più spesso accade che ciò che viene realizzato sia dirottato direttamente all’estero senza fermarsi nei negozi del nostro paese. O ancora, che alcune industrie che vendono tanto in Italia quanto nel mondo, siano controllate e timbrate per esempio per esportare sul mercato americano, ma qui non trapeli l’informazione. Una volta che avremo capito che cosa abbiamo effettivamente a disposizione, bisogna concentrarsi sui generi che scarseggiano e incentivare le imprese a realizzare una produzione kasher facendo in modo che possa essere per loro economicamente conveniente. Perché ovviamente è questo il primo ostacolo per le industrie: i costi. In questa prospettiva penso che un Ufficio nazionale della kasherut gestito dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sarebbe davvero utile e potrebbe fare molto”. Il rav ricorda come oggi ancora più che in passato, la possibilità di comprare prodotti kasher a prezzi contenuti sia fondamentale, e che ci siano molti passi da intraprendere: per esempio verificare la kasherut dei fornitori di discount a marchio low cost. Un discorso, quello della sostenibilità economica, che vale ancora di più per la carne, per cui è importante, anche se non semplice, trovare soluzioni che ne garantiscano la vendita a prezzi calmierati, come successo a Milano dove è in funzione uno spaccio comunitario. Complesso e cruciale, parlando di kasherut e di realizzazione di una certificazione nazionale è il tema dell’affidabilità della stessa. “Tutti i grandi marchi internazionali hanno fissato degli standard ed è necessario che anche noi facciamo altrettanto se vogliamo essere riconosciuti come un timbro autorevole – sottolinea il rabbino – Ma questo significa che poi tutti coloro che saranno coinvolti si impegnino a uniformarvisi, solo così si potrà creare una sinergia virtuosa con tutti i rabbinati locali, che oggi lavorano in autonomia. Bisogna affrettarsi a registrare il marchio unico di kasherut nazionale e poi gestirlo nella maniera migliore, ricordando che è fondamentale mantenere un coordinamento italiano”. “Lavorare sull’export, dove possiamo avvalerci dell’interessamento del Ministero dello sviluppo – conclude rav Di Segni – può anche servire per trarre benefici economici per gli operatori italiani della kasherut e per le stesse istituzioni ebraiche, oltre a incentivare nuove industrie a richiedere la certificazione. Per realizzare tutto questo, non va dimenticato, bisogna avere progetti ben definiti, essere disponibili a fare investimenti, almeno in una fase iniziale, e avere presenti gli obiettivi da perseguire nel medio e nel lungo periodo. Con la consapevolezza che ci troviamo davanti a una sfida non solo importante, ma anche complessa”.
Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, dicembre 2013
(10 dicembre 2013)