Periscopio – La sinfonia stonata
Sottoscrivo pienamente, parola per parola, la critica formulata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni – riportata sul numero di dicembre di Pagine Ebraiche – riguardo alla scelta di rappresentare, lo scorso mese di giugno, sul piazzale antistante l’ingresso di Auschwitz, una sinfonia corale, intitolata “la sofferenza degli innocenti”, nella quale si rievoca il dolore della Vergine Maria sotto la croce, afflitta tanto per la morte di suo figlio, quanto per tutte le sofferenze degli innocenti, di ogni luogo e ogni tempo (fa cui i martiri della Shoah). Una rappresentazione a cui hanno presenziato insieme importanti cardinali, vescovi e rabbini, e che è stata salutata in diversi luoghi – fra cui l’Osservatore Romano – come un grande gesto di fratellanza e riconciliazione, ma la cui intrinseca ambiguità è stata stigmatizzata da Di Segni con parole rispettose ma ferme: chi accetta una simile interpretazione della Shoah, accettando cioè l’idea del martirio del popolo ebraico assorbito e riscattato dalla Passione di Cristo, “è già cristiano, fuori dall’ebraismo (e non un ebreo che corona il suo cammino)…”.
In quanto non credente, non appartenente a nessuna Chiesa o sinagoga, non mi permetterei mai di giudicare le opzioni religiose di ministri di culto, di qualsiasi fede: se, per esempio, un domani, dei sacerdoti e dei rabbini decidessero che si può pregare insieme, o che – paradossalmente – le loro religioni potrebbero intrecciarsi o, addirittura, sovrapporsi o fondersi, non giudicherei tale scelta, non mi permetterei di dire che stanno sbagliando. Non mi compete dare giudizi di ordine teologico, né ho alcun desiderio di farlo. Ma c’è un punto per il quale il giudizio dell’uomo della strada vale esattamente quanto quello del più autorevole dei rabbini o dei cardinali, ed è il rispetto dei morti. Qualsiasi gesto effettuato su una tomba deve essere, innanzitutto, rispettoso della memoria e della persona del defunto (se, ovviamente, a questa memoria si intende portare rispetto). Ed, essendo Auschwitz, innanzitutto, il più grande cimitero del mondo, bisognerebbe chiedersi, prima di fare, in quella sede, qualsiasi cosa, cosa ne penserebbero i milioni di vittime che lì hanno trovato la morte. E io non so proprio se costoro – assassinati proprio per essere rimasti fedeli a un’identità che non comprendeva, tra i suoi simboli, la croce – sarebbero stati contenti di vedersi commemorati attraverso una rappresentazione del dolore della Vergine sotto la croce. Un ventina d’anni fa la Chiesa polacca fu costretta a ritirare il progetto di edificare un convento di suore carmelitane proprio innanzi al cancello di Auschwitz, denunciato (da parte ebraica, e non solo) come un’offesa ai morti, una grave mancanza di rispetto e sensibilità. Ora, probabilmente, il progetto potrà essere ripreso, e portato a compimento, perché si dirà, e non senza ragione, che le ragioni dell’opposizione, nel “nuovo corso”, improntato all’amore universale, sono ormai venute meno.
Mi permetto di citare, a questo proposito, un piccolo ricordo personale. Nel 1992 partecipai, insieme a migliaia di altre persone – per lo più giovani studenti – a una “marcia della vita”, un pellegrinaggio della memoria ad Auschwitz, durante il quale ebbi modo di fare amicizia con diversi compagni di viaggio, di diversa nazionalità. Tra di essi, ricordo un giovane israeliano, dal carattere alquanto chiuso e schivo. L’ultimo giorno, sfilammo tutti, in silenzio, con la medesima casacca azzurra, e tantissime bandiere di Israele, da Auschwitz a Birkenau. L’immagine del lungo fiume azzurro che scorreva silenzioso, in quel terribile luogo, mi emozionò. Accanto a me, marciava il mio taciturno compagno, al quale mi venne spontaneo di comunicare questa considerazione: “pensa cosa avrebbero provato, i prigionieri di questo luogo, se avessero potuto vedere, per un solo istante, questa immagine”. Il mio compagno rimase in silenzio. Ma quando, il giorno dopo, ci salutammo, mi disse: “non dimenticherò mai quello che hai detto”. Non so se è vero che non ha dimenticato le mie parole, ma io non ho dimenticato le sue. E non credo che sarebbe rimasto altrettanto colpito se gli avessi detto: “pensa cosa avrebbero provato, se avessero saputo che qui sarebbe stata celebrata, un giorno, in loro onore, una sacra rappresentazione del Passione di Gesù”.
Francesco Lucrezi, storico
(11 dicembre 2013)