Time out – Il nodo kasherut
Ho letto con interesse la notizia riportata da Pagine Ebraiche a proposito della creazione di un marchio unico nazionale per il Kasher. Tra i vantaggi che vengono prospettati c’è quello della diminuzione dei prezzi attraverso un dirottamento di parte degli introiti derivanti dalla certificazione a coprire il costo dei schochetim (chi macella le bestie) e dei mashghichim (chi controlla la produzione) per le Comunità. Ora, per quanto l’idea di una certificazione abbia evidenti meriti, andrebbe chiarito meglio perché questa produrrebbe benefici per i consumatori. L’intervento per coprire parte dei costi dei controllori andrebbe, per esempio, ad esclusivo vantaggio della azienda che produce e della Comunità che, in parte, vedrebbe aumentato il suo introito senza nessuna garanzia per l’utente che il prezzo venga diminuito e che il ricavato non venga utilizzato per altri scopi. Diverso è il discorso della carne dove la Comunità sarebbe unico produttore e ha pertanto la possibilità di intervenire sui prezzi. Se quindi per la carne un marchio di certificazione nazionale appare come una soluzione in quanto il bene e la domanda sono molto limitati tutt’altra cosa è la certificazione di aziende che producono altri cibi in Italia. Per chi non lo avesse ancora scoperto, la certificazione del Kasher è un grande business in tutto il mondo e di conseguenza produce grandi introiti per chi se ne occupa compresi i rabbini. Il rischio è che l’entrata delle Comunità Ebraiche nel mercato come certificatori non produca una situazione che le renda competitive all’estero, ma monopoliste in Italia per ciò che riguarda la distribuzione dei beni. Quello che manca infatti non è la certificazione di una comunità ebraica su alcuni prodotti, ma la disponibilità di cibi già certificati a pochi kilometri da noi e che non arrivano nelle nostre città. Di questo dovemmo forse preoccuparci di più per quanto riguarda la certificazione. Non c’è bisogno di essere economisti per sapere che è la concorrenza a diminuire i prezzi dei beni, anche quando si parla di kasherut. Il dubbio infatti che nasce è se la Comunità, come ente che agisce nel mercato, abbia interesse a favorire la distribuzione di cibi che in un certo senso le fanno concorrenza. Concorrenza che ovviamente andrebbe esclusivamente a favore degli ebrei che vogliono mangiare kasher. Un dubbio che credo sia più che legittimo e che non ho dubbi si vorrà chiarire al più presto. Di certo all’iniziativa e a chi l’ha proposta va dato il merito di voler intervenire in una situazione ormai insostenibile dove il lavoro di alcune comunità e di alcuni rabbini era esclusivamente quello di utilizzare la competenza territoriale per certificare cibi e aumentare i guadagni dimenticando il senso e il ruolo che una Comunità dovrebbe avere.
Daniel Funaro twitter @danielfunaro
(2 gennaio 2014)