Diritti e doveri
Il rav Riccardo Di Segni ricordando che il diritto è implicito nel dovere e che i diritti si garantiscono con la forza dei divieti, ha dato recentemente, tra le altre cose, una risposta efficace a chi afferma (anche nel mondo ebraico) che l’ebraismo non contempla diritti ma solo doveri. A me pare che diritti e doveri siano inscindibili e che dare la preminenza agli uni o agli altri sia come discutere se sia nato prima l’uovo o la gallina. Porre l’accento sui doveri, come tende a fare l’ebraismo, può essere più efficace perché i diritti di qualcuno implicano necessariamente doveri per qualcun altro, e se ci limitiamo a enunciare i diritti in teoria senza preoccuparci di definire chi deve garantirli e come, quei diritti resteranno facilmente sulla carta. L’accento posto sui doveri può essere molto utile in una società come la nostra, in cui ciascuno è talmente assorbito dalla spasmodica attenzione a tutelare i propri diritti da non vedere quelli degli altri; tuttavia mi pare che in molti casi il modo più efficace per richiamare le persone ai propri doveri sia focalizzare la loro attenzione sui diritti altrui che stanno, forse inconsapevolmente, calpestando. Per esempio, un discorso contro la libertà di parola difficilmente sarà ascoltato; molto più facile che trovi consenso un discorso in difesa del diritto della tale persona a non essere offesa o diffamata. Questo modo di procedere, che a mio parere ha un’oggettiva valenza educativa, potrebbe essere utilissimo nel mondo della scuola. Supponiamo per esempio che un allievo, per tutelarsi da un brutto voto, vada in giro a raccontare che l’insegnante era sempre assente, che ha fatto una verifica a sorpresa su argomenti mai trattati, che ha dato i voti a caso o in base a simpatie personali, ecc.; di solito in questi casi quando le bugie vengono scoperte l’allievo viene sgridato, punito, prende un brutto voto in condotta, ma assai raramente qualcuno richiama la sua attenzione sull’offesa subita dall’insegnante e sulle conseguenze che le accuse infondate avrebbero potuto comportare sul piano giuridico o professionale. Non capisco perché gli insegnanti tendano invece a focalizzare l’attenzione sui doveri degli allievi più che sui propri diritti: è come se ritenessero la tutela di sé una cosa meschina, una sorta di abdicazione dalle proprie responsabilità di educatore e dalla propria autorevolezza in quel ruolo. Ma non suona contraddittorio dal punto di vista dei giovani che chi in teoria insegna loro a non calpestare i diritti di nessuno poi in pratica lasci calpestare i propri quasi senza protestare?
Anna Segre, insegnante
(10 gennaio 2014)