I crimini della brava gente
Dopo l’armadio della vergogna, il carrello della vergogna. Il giornalista Franco Giustolisi, che già coniò la prima definizione a proposito dell’armadio zeppo di documenti sui crimini nazifascisti in Italia, tenuti colpevolmente segreti per decenni, diffonde adesso una seconda, per certi versi complementare, tranche di carte ignote. Si tratta degli atti della Commissione d’inchiesta sui crimini italiani nei paesi occupati durante la seconda guerra mondiale, sostanzialmente sconosciuti.
La commissione lavorò tra il 1946 e il 1951, tralasciando stranamente di indagare sugli eventuali misfatti dei soldati in Africa, studiati accuratamente negli anni scorsi da Angelo Del Boca. Gli italiani in Jugoslavia, in Albania, in Grecia e in Russia si resero responsabili di azioni orribili, ma dopo la guerra furono quasi sempre assolti o non imputati dalla giustizia, civile, militare, italiana, che preferì non riaprire ferite e dibattiti sulla condotta nazionale.
Qualcosa di simile a ciò che accadde in Germania – fatte le debite proporzioni – dove la denazificazione riguardò nei fatti una percentuale minima tra coloro che avevano collaborato col regime nazista e in misura differente erano dunque responsabili delle sue atroci nefandezze.
Il “carrello” è importante per due ragioni. La prima, non nuova, è che sterilizza ulteriormente il concetto di “italiani brava gente”. Niente di più falso. La seconda, forse ancor più rilevante, è che pone una domanda essenziale nei rapporti tra morale e politica: fino a che punto è lecito far prevalere l’interesse del momento (cioè la stabilità e il quieto vivere), obiettivo della politica, a scapito della giustizia sul passato (compito della morale)? Il quesito non riguarda evidentemente solo il caso di specie, ma tutte le volte in cui un regime democratico (o neo-democratico) deve fare i conti con un passato drammatico. Dal Sudafrica all’Iraq, dalla Germania alla Francia post-coloniale, è una riflessione che merita, più di quanto le sia stato finora concesso, attenzione e approfondimento.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(14 gennaio 2014)