Qui Livorno – Oltre le testimonianze
A 75 anni dalla proclamazione delle Leggi Razziste, a 70 anni dai rastrellamenti nazifascisti, a 69 anni dalla apertura dei cancelli di Auschwitz da parte dell’esercito russo: cosa resta oggi della Shoah? Quali strategie per la “Memoria” dopo l’epoca delle testimonianze? Perché si continua a negare che la tragedia sia avvenuta? Queste domande sono state al centro del dibattito “Oltre le testimonianze: storia, memoria, conoscenza”, promosso dalla Comunità ebraica e il Comune di Livorno, il Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Comunità ebraica di Pisa, al Museo Civico Giovanni Fattori.
Sono intervenuti Elisa Guida (storica e socia fondatrice dell’Associazione Arte e Memoria), Bruno Di Porto (storico dell’Università di Pisa) e Aldo Minghelli (avvocato penalista e consigliere dell’Ordine degli avvocati di Roma), moderati da Guido Servi, vice presidente della Comunità ebraica di Livorno.
Elisa Guida si è soffermata sulla necessità di trovare un linguaggio in grado di radicare una memoria duratura ed efficace nelle singole coscienze e nella storia, senza il rischio della banalizzazione: le Pietre d’Inciampo tentano di fare proprio questo, attraverso un linguaggio privo di retorica. La banalità d’altra parte non è una semplice constatazione o un sentimento, una sensazione di fronte alla “normalizzazione” delle tragedie, ma, come ha sottolineato il professor Bruno Di Porto, è, ed è stata, un vero e proprio strumento della tragicità del male e della sovraumana mancanza di umanità. Il Giorno della Memoria deve diffondere la conoscenza, come ha suggerito sin dall’inizio Guido Servi, e le documentazioni che provano quello che è stato; deve creare un raccordo tra studi scientifici e coscienza individuale e collettiva. Per questo è una ricorrenza che non va abolita, come ha detto Bruno di Porto: tanto si è fatto e molto altro c’è da fare ed è giusto interrogarsi sulle modalità e gli strumenti più efficaci per raggiungere tale obiettivo. Combattere la banalizzazione e l’ignoranza è ancora un dovere morale, etico e scientifico. Poi esiste il problema del negazionismo. Da un punto di vista giuridico, ha spiegato l’avvocato Aldo Minghelli, la legge contro il negazionismo presenta delle questioni complesse: “I dubbi nascono dal conflitto tra norme entrambe di rango costituzionale, tra i diritti della persona e la libertà di espressione e ricerca scientifica. Quale sia il limite entro cui punire il negazionismo non significa impedire la ricerca storica. La ricerca storica non parte da convincimenti di fondo che poi cerca di dimostrare, ma sussume il dato dalle emersioni certe dei dati storici che a mano a mano riaffiorano… Negazionismo è negare invece l’accertato senza alcuna base storico-probatoria, distorcere i dati certi nel nome di un’ipotesi alternativa infondata. L’esempio di Katin segna invece l’esperienza opposta..” E in ogni caso è bene ricordare che in tribunale, una testimonianza, qualora non venga smentita in sede di processo, diventa verità storica.
Ilana Bahbout
(22 gennaio 2014)