“Don Gregorini entri tra i Giusti”

costanza fatucci“Don Gregorini è stato un uomo burbero in apparenza, ma in realtà dolcissimo. Una persona straordinaria cui devo la vita”. È commossa fino alle lacrime Costanza Fatucci (foto in alto) nel ripercorrere, all’interno della parrocchia di San Benedetto a Testaccio, le tappe del coraggio e della determinazione che portarono il giovane parroco del quartiere, don Giovanni Gregorini, ad aprire le porte della comunità a lei e ai suoi cari. Una testimonianza che, sommata all’intervista rilasciata da Rosina Di Veroli alla Shoah Foundation, ha avuto un peso fondamentale nel volume – Portico d’Ottavia 13 (ed. Laterza) – che la storica Anna Foa ha dedicato agli ebrei di Roma e al drammatico prezzo pagato alle persecuzioni. Un libro intenso, sofferto, vivo in cui ad emergere è, tra le altre, la figura del prete romano di via del Gazometro. Per rendergli omaggio, per condividere con i parrocchiani che gli sono stati vicini questo questo capitolo di storia ancora poco conosciuto dai suoi stessi fedeli, si è deciso di organizzare una presentazione del libro nei luoghi in cui Gregorini ha lungamente officiato e in cui, grazie a quella prova di eroismo, trovarono ospitalità alcuni ebrei sfuggiti alla retata dal 16 ottobre. In Portico d’Ottavia 13 l’episodio – perno dell’intero incontro – è raccontato con queste parole: “I Di Veroli, vestitisi alla meglio riuscirono a fuggire dal retro della casa, passando da una finestra bassa al pianterreno che si affacciava su via di Sant’Angelo in Pescheria. A piedi, evitando i blocchi, anche con l’aiuto della gente intorno, arrivarono anche loro ore dopo, intorno alle 11.30 del mattino, nella parrocchia di San Benedetto in via del Gazometro e bussarono alla porta. Rosina ricorda la risposta del parroco, don Giovanni Gregorini, quando li vide: Entra Attilio (il padre di Rosina ndr), ché abbiamo avuto adesso l’ordine di farvi entrare”.

ishot-289Già destinatario in passato di un riconoscimento della Comunità ebraica romana (foto a fianco), don Gregorini potrebbe essere prossimamente insignito del titolo di Giusto tra le Nazioni. Starà infatti alla signora Fatucci trascrivere la memoria orale offerta alla professoressa Foa in una testimonianza cartacea da inviare allo Yad Vashem per fare in modo che il prete, scomparso nel 2001, possa ottenere il massimo tributo concesso dallo Stato di Israele a chi, a rischio della propria vita e senza il godimento di alcun vantaggio materiale, si impegnò per evitare che una o più persone braccate dal regime per motivi “razziali” finissero irrimediabilmente prigioniere dei meccanismi della Shoah. La richiesta, pervenuta dall’attuale parroco don Fabio Bartoli e sostenuta con forza dall’autrice del libro, è arrivata mentre Costanza sedeva al loro fianco. L’auspicio di entrambi è che l’iniziativa possa andare a buon fine nei tempi più rapidi. “È morto dodici anni fa don Gregorini – rifletteva negli scorsi giorni don Bartoli – ma dopo sessant’anni passati qui le pareti stesse della chiesa e delle strutture evocano continuamente la sua presenza. Non c’è persona nel quartiere che non abbia un aneddoto da raccontare, un ricordo da condividere, così che nel tempo, anche se non l’ho conosciuto di persona, mi sono fatto un’immagine mentale di lui e ho, in un certo modo, imparato a volergli bene”.

Ad emergere, nel corso dell’incontro, è il profilo di un personaggio meritevole di essere ricordato non soltanto per il coraggio dimostrato a cavallo tra gli anni ’43 e ’44 ma anche per la grande umanità che ha caratterizzato tutta la sua vita. I dialoghi con il padre di Costanza sulle differenze e sui punti di contatto tra Dio ebreo e Dio cristiano restituiscono ad esempio spaccati di una personalità unica, intellettualmente vivace e capace di aprirsi al confronto mentre tutt’attorno infuriava la bufera. E ancora, suscita commozione il pensiero di don Gregorini che accompagna i familiari di Attilio e di suo figlio Michele, il più giovane martire dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, a riconoscere i corpi dei loro congiunti caduti per mano della barbarie nazista. Nelle valutazioni di Anna Foa la vicenda Gregorini rappresenterebbe così un esempio particolarmente significativo di come – nell’ora più buia dell’umanità, nella tensione e nell’angoscia di quei giorni terribili – ebbe inizio una nuova fase nei rapporti tra ebrei e cristiani. Un’interpretazione proposta anche in un recente editoriale apparso sull’Osservatore Romano in cui Foa scrive che questa familiarità nuova e improvvisa, indotta senza preparazione dalle circostanze, in condizioni in cui una delle due parti era braccata e rischiava la vita ed era quindi bisognosa di maggior ‘carità cristiana’, non sia stata senza conseguenze “sull’avvio e sulla ricezione del dialogo”.

Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked

(27 gennaio 2014)