I valori della Memoria
In occasione delle celebrazioni del Giorno della Memoria al Quirinale alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha pronunciato il seguente discorso:
“Illustre e caro Presidente Napolitano, illustri autorità, cari amici e docenti che accompagnate i vostri studenti, carissimi ragazzi,
Il 27 Gennaio di ogni anno,”Giorno della Memoria”, è dedicato a ricordare “ciò che fu” e che “mai più” dovrà accadere, questa è la finalità espressamente dichiarata.
In verità è molto di più, di molto più profondo, di molto più complesso perché il nostro sguardo non si rivolge solo al passato ma tenta di interpretare correttamente i fatti storici per capire il presente e costruire il futuro.
In queste giornate, oltre a ricordare la Shoah vicenda terribile e indimenticabile, oltre a tentare di narrare fatti inenarrabili, ci assale e ci tormenta un interrogativo che difficilmente potrà trovare una risposta plausibile e convincente.
Questo grande interrogativo è “perché?”
I credenti di tutte le religioni continuano a chiedersi perché Dio lo abbia permesso.
I non credenti continuano a chiedersi come sia potuto accadere che esseri umani siano potuti arrivare ad essere così disumani.
E’ accaduto che l’esercito più potente del mondo negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, oltre a lanciarsi alla conquista e all’asservimento dell’intero continente europeo, abbia voluto e potuto infierire in maniera spietata contro gli “innocenti e gli indifesi”, uccidendone, fra atroci sofferenze, non migliaia, ma milioni.
E’ accaduto che il progresso scientifico e la cultura siano stati deformati, piegati e asserviti a teorie aberranti e comportamenti abietti.
Gli innocenti e gli indifesi erano quelli di sempre: gli ebrei, i rom, i sinti, i disabili, i malati di mente, gli omosessuali. Ma soprattutto erano gli ebrei contro i quali furono costruite vergognose teorie di natura razzista che, rimescolate con antichi pregiudizi e false accuse di carattere religioso, furono usate come pretesto per giustificare il tentativo di eliminazione totale, la “soluzione finale”, meticolosamente programmata e pianificata.
I carnefici nazisti erano persone colte e tecnologicamente avanzate, in grado di applicare allo sterminio le tecniche più moderne, più rapide, meno costose, quelle che, totalmente incuranti delle sofferenze, lasciavano tracce meno vistose dei crimini commessi.
Sarebbe una colpevole indulgenza definire e liquidare la più grande tragedia della storia dell’umanità come un caso di follia collettiva.
Non dobbiamo permettere che la nostra capacità critica venga offuscata.
I nazisti erano in grado di intendere e di volere e nulla può attenuare la loro responsabilità.
Milioni di uomini e di soldati scientificamente addestrati ad odiare, degradati ad assassini senza pietà, erano talmente motivati da continuare le deportazioni e gli stermini di massa anche quando, nel 1945, ormai era chiaro che stavano per subire una catastrofica sconfitta.
Si può affermare con certezza che le conseguenze della disfatta definitiva dei nazisti furono rese più rovinose per aver essi continuato a distogliere uomini, energie e mezzi di trasporto all’esercito in ritirata per proseguire lo sterminio, la Shoah.
Anche per questo la disfatta del nazismo non fu solo militare, ma soprattutto civile e morale.
Tornando al quesito iniziale rimane assillante il “perché?”.
Come è potuto accadere? E se è accaduto solo 70 anni fa chi può garantirci che non possa ripetersi anche in forme diverse e contro altre collettività?
Noi rappresentanti delle comunità ebraiche italiane sentiamo di poter svolgere uno speciale ruolo e di avere un preciso dovere a favore del nostro paese e della società di cui siamo parte integrante.
Le comunità ebraiche italiane, durante la Seconda guerra mondiale, si sono trovate a vivere nell’unico paese europeo alleato con la Germania nazista, e dovettero subire il terribile duplice tradimento perpetrato dal regime fascista e dalla monarchia sabauda.
Sia l’Italia fascista che la Repubblica Sociale collaborarono attivamente con le SS e la Gestapo per catturare e deportare nei campi di sterminio migliaia di ebrei italiani di cui circa 8500 non fecero più ritorno.
Queste dure esperienze hanno fatto maturare negli ebrei una grande sensibilità e speciali anticorpi che entrano in allarme se percepiscono un abbassamento delle garanzie democratiche.
La più attenta vigilanza è doverosa e mai deve essere abbassato il livello di guardia.
E’ bene ricordare che, nonostante limiti, inefficienze e difetti, negli ultimi 65 anni l’Italia è riuscita ad entrare nel novero dei più importanti paesi democratici e sarebbe quindi un errore imperdonabile modificare l’impianto di garanzie fissato nella prima parte della Costituzione.
Il Giorno della Memoria è un appuntamento ormai consolidato nella coscienza e nel sentimento collettivo degli italiani. Proprio in considerazione di questo aspetto, deve essere difeso da incomprensioni e distorsioni.
Il Giorno della Memoria rappresenta per moltissimi studenti l’apice di un percorso educativo scandito, nel corso dell’anno scolastico, da frequenti occasioni di interazione e confronto con i docenti, gli studiosi e i Testimoni della Shoah.
Nei giorni scorsi, accompagnando il Presidente del Senato, Pietro Grasso, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza e oltre un centinaio di studenti delle scuole italiane in visita nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau ho potuto constatare personalmente che il comportamento dei ragazzi non lasciava spazio a dubbi, non dimenticheranno mai le immagini che si sono presentate davanti ai loro occhi e le parole dei sopravvissuti.
È questo lo spirito più autentico del Giorno della Memoria, le commemorazioni del 27 gennaio non siano viste come un qualcosa di rituale o scontato. Allontanare questa insidia, scacciare il distruttivo veleno della retorica, è il compito primario di chi, nella Memoria, vede un punto di partenza irrinunciabile per la costruzione di società più libere e progredite.
Un concetto affermato con parole memorabili, in questa stessa sede, da Claudio Magris. Era il 27 gennaio del 2009 quando il grande intellettuale e germanista triestino affermava: “Siamo qui, oggi, per ricordare la Shoah tramite uno dei più grandi valori trasmessi dalla civiltà ebraica, la Memoria. Essa non è il passato, bensì l’eterno presente di tutto ciò che ha senso e valore: l’amore, la preghiera, l’amicizia, la sofferenza, la felicità. Memoria significa pure rapporto con la propria identità e consapevolezza – ma non stolta e feroce idolatria – di quest’ultima. La memoria è anche una garanzia di libertà; non a caso le dittature cercano di cancellare la memoria storica, di alterarla o distruggerla del tutto”.
In genere le dittature tendono a distruggere il patrimonio culturale e artistico dei popoli che esse opprimono. L’arte svolge una funzione determinante nella conservazione della Memoria e di questo avremo una dimostrazione questa sera all’Auditorium del Parco della Musica con il concerto “ I violini della speranza” del violinista israeliano Shlomo Mintz, che si esibirà insieme ad altri musicisti con gli strumenti salvati dalla Shoah, nelle modalità più incredibili, con le storie più sofferte ed emozionanti, dal liutaio Amnon Weinstein. Il restauro, per Weinstein, non è un punto d’arrivo: i suoi strumenti non devono diventare oggetti da esposizione, ma devono soprattutto suonare. La loro musica è una vittoria sul silenzio, sull’oblio, è la voce di coloro che non possono più suonarli. Tra poco in questa sala Shlomo Mintz ne offrirà un breve saggio.
Voglio concludere rivolgendo a Lei, illustre Presidente, le più sincere espressioni di gratitudine e di ammirazione, da parte delle 21 Comunità ebraiche italiane e mie personali, non solo per il rilievo e il prestigio che in tutti questi anni ha voluto conferire al Giorno della Memoria, ma per la Sua quotidiana opera a difesa dei valori fondamentali di libertà e di uguaglianza, opera che la larghissima maggioranza degli italiani ha saputo capire ed apprezzare.
Abbiamo appreso da Lei un grande insegnamento di modestia, di disinteresse e di immenso amore per questa nostra Italia quando ha accettato la sua seconda elezione, ben consapevole delle enormi fatiche e delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare.
Saluto con affetto tutti i presenti e a Lei caro Presidente una forte stretta di mano e un rispettoso e caldo abbraccio”.
(27 gennaio 2014)