Il silenzio di Pio XII

minerbi1Subito dopo il 16 ottobre 1943, mia madre venne a sapere da Guido Coen che aveva messo al sicuro i suoi due figli, Alvaro e Luciano, alla scuola-internato San Leone Magno. Guido le consigliò di andare a parlare col Procuratore dei Fratelli Maristi, che era anche il preside dell’istituto. Mia madre ottenne dal preside Alessandro Di Pietro, il consenso a ricevermi. Qualche giorno dopo verso sera, quando il coprifuoco era prossimo, mia madre mi prelevò dalla padrona dell’azienda farmaceutica presso cui ero nascosto, e mi portò alla scuola. Lì fui ricevuto da uno dei religiosi Maristi che mi portò all’ultimo piano dove c’era il dormitorio, e subito dopo al refettorio nel sotterraneo. Entrai accanto al tavolo indicatomi dove erano già seduti sette ragazzi e c’era quindi un posto libero. Subito dopo i 900 ragazzi recitarono in coro una preghiera. Guardando il ragazzo di fronte feci il segno della croce, ma risultò alla rovescia. Ciò che fu immediatamente rilevato dal compagno alla mia sinistra. E io risposi subito senza batter ciglio: “Certo, vengo dal sud d’Italia dove c’è tuttora una forte influenza greco-ortodossa e noi lo facciamo alla rovescia”. La prontezza e l’esattezza mi salvarono in quel frangente, ma decisi di studiare attentamente le regole cattoliche per non farmi più cogliere in fallo. In sette mesi di permanenza, l’episodio non si ripeté mai più. Andavamo tutti i giorni a scuola nello stesso edificio e il nostro insegnante di Italiano e Latino era fratello Leone. Era molto serio, non sorrideva mai e io ero bravo nelle sue materie, ma molto presto egli cominciò a darmi una lezione settimanale privata, nel pomeriggio del mercoledì, per convincermi a convertirmi al cattolicesimo. Non ne avevo la minima intenzione, e anzi provavo un senso di ribrezzo per questo Leone che tentava di sfruttare la situazione difficile nella quale mi trovavo, per convertirmi. Decisi di rendergli il compito più difficile. Per esempio, mi portò un libro di 750 pagine, enorme, intitolato: “Come raggiungere la fede attraverso la ragione”. Lessi il titolo e gli dissi subito: “Qui c`è uno sbaglio. Di fedi in questo momento qui ce ne sono due. Quindi mi porti un libro intitolato in questo modo e io lo leggerò.” I 60 minuti di lezione particolare furono così dedicati a una discussione futile. La pressione continuò senza interruzione ma sapevo di dover resistere e rendergli la missione impossibile. Una volta, mentre eravamo come al solito in un’aula vuota al sesto piano, gli indicai la piazza sottostante, della Croce Rossa, che era deserta in quel pomeriggio per la mancanza di carburante. Gli dissi: “Se adesso passa un’automobile, il suo Dio la vede?” “Certamente” fu la risposta immediata. “E se provoca un incidente, il suo Dio l’ha vista, prevista ma non ha fatto nulla per evitarlo. Il suo Dio è cattivo”. Fratello Leone sopportava le mie parole quasi blasfeme e si mise a spiegarmi a lungo i dettami del libero arbitrio. A me importava solo di aver esaurito il tempo assegnatomi per quel giorno e aspettavo tranquillo la settimana seguente. La sera salivo sul tetto per osservare i lampi dei cannoni che sparavano da Anzio, ma gli Americani non arrivavano mai.
Il 4 giugno 1944 alla mattina presto ero già sveglio. Fratello Abele, il prefetto di disciplina, andava su e giù per la camerata recitando l`Ave Maria. A un certo momento mi sporgo leggermente dal letto per vedere la strada sottostante e vedo uno stellone bianco su un veicolo. Pazzo di gioia urlo: “Sono arrivati gli Americani!” e Fratello Abele imperterrito continuò: “Ave Maria gratia plena…” Ma io non ascoltavo più, ero felice, eravamo scampati. Poi venne la scoperta per la strada dei soldati palestinesi (ossia ebrei) e di quelli americani ai quali ci rivolgevamo per ottenere qualche scatola di “meat and vegetable”. Io figlio unico, ero preposto ai rifornimenti per avere un po’ di luce la sera, scatole di carne, acqua che dovevo trasportare dalla fontanella nella pineta vicina.
Eravamo finalmente liberi e contavamo gli amici per sapere chi non sarebbe mai tornato.
Il papa Pio XII non aveva mosso un dito per noi. Circa 50 anni dopo mi recai con mia moglie Hanna z”l a Carmagnola vicino a Torino per ritrovare don Alessandro Di Pietro . Era in ottime condizioni spirituali e gli chiesi a tavola: “Lei come Procuratore dei Maristi incontrava Pio XII una volta al mese. Le ha mai chiesto di salvare degli ebrei?”. “Mai” fu la sua pronta risposta.

Sergio Minerbi, diplomatico

(27 gennaio 2014)